Cominciamo dal nome: Euganei
L’origine del nome “Euganei” ha a che fare con una delle vicende storiche ed economiche più tipiche dei Colli: la viticoltura. Lo storico Sante Bortolami afferma che il nome di “Euganei” per indicare i Colli entrò in uso nel corso del Trecento in ambienti colti, per indicare i mitici antichi abitatori delle contrade. Nell’uso popolare l’area si indicava col termine di “Pedevenda” o di “Monti” tant’è che il vino qui prodotto era chiamato vinus purus de monte per distinguerlo dal mediocre della pianura detto vinus de plano o planensis.
Bortolami Sante, Il paesaggio euganeo ai tempi del Petrarca, “Padova e il suo territorio”, 18 (2003), n. 106, p. 21-26,
Il “nonluogo” dell’antropologo Marc Augé
L’antropologo e filosofo Marc Augé ha introdotto il neologismo nonluogo, utilizzato per indicare tutti quegli spazi che hanno la prerogativa di non essere identitari, relazionali e storici. Sono gli spazi dell’anonimimato ogni giorno più numerosi e frequentati da individui sempre più soli.
I nonluoghi sono incentrati solamente sul presente e sono altamente rappresentativi della nostra epoca, che è caratterizzata dalla precarietà assoluta, dalla provvisorietà, dal transito e dal passaggio e da un individualismo solitario.
Per Marc Augé questo fenomeno è tipico della surmodernità che è caratterizzata da tre figure dell’eccesso (o sovrabbondanza): sovrabbondanza di avvenimenti; sovrabbondanza di spazio; individualizzazione dei riferimenti (eccesso di ego). La difficoltà di pensare il tempo deriva dalla sovrabbondanza di avvenimenti del mondo contemporaneo. L’accelerazione della storia corrisponde a una moltiplicazione di avvenimenti il più delle volte non previsti da economisti, storici o sociologi.
“El platanon” come emblema del luogo carico di vissuto
La memoria del medico Antonio Carmignoto (1923-1998)
All’altezza dell’innesto della strada che da Bresseo porta a Montemerlo si trovava il monumentale platanon – riferimento visivo ed affettivo che da trecento anni era luogo di appuntamenti e di incontri (abbattuto da qualche decennio).
Il racconto del medico Antonio Carmignoto ci restituisce il clima della Fiera e il vissuto del luogo:
Vicino al ‘platanon’ si costruiva un baraccone con il pavimento fatto di tavole di legno detta ‘piattaforma’ e si ballava nei tempi antichi: la quadriglia, la pavana, la furlana, la villotta, e più tardi il valzer, la mazzurca, la polca, ecc; suonava l’organetto poi piccole orchestre con la fisarmonica. Era un punto d’incontro per i giovani e mi ricordo di aver chiesto ad una vecchietta, che era nata e aveva abitato ad Albignasego, come mai avesse sposato uno di Villa, mi rispose «lo go conosio aea fiera de Breseo» (nulla cambia: ora si conoscono nelle discoteche). Nelle osterie gli uomini alzavano troppo il bicchiere e si ubriacavano per cui spesso la festa finiva in baruffe anche veramente con l’uso di coltelli (avevano fama di “baruffanti’ quelli di Galzignano), altre volte invece formavano dei cori, sempre stonati, e cantavano, ad esempio, “La bella Gigiota” ( di questi erano specialisti quelli di Rovolon). Si organizzava nei tempi passati anche una Pesca di Beneficenza per i poveri del paese.
Sempre secondo Carmignoto (che scrive nel 1994) il monumentale albero aveva 300 anni e per secoli era stato punto di riferimento e di incontri. Vicino ad esso, da secoli, c’era un osteria e forse da tempo immemorabile anche lo “Spedale” od ospizio. L’osteria citata potrebbe essere la stessa osteria di Ca’ Cavalli dove il Fiandrini, il monaco archivista di Praglia, colloca la dimora di quei giovani di malaffare che il 3 marzo 1806 avevano progettato di robbare le ruote nuove di un carro presso l’Abbazia.
Carmignoto Antonio, Notizie storiche su Bresseo-Treponti di Teolo, Padova 1994, p. 101.
Fiandrini, Cronaca…, c. 120r.
I nomi dei luoghi secondo Luciano Gasparato detto “Archieo”
Luciano Gasparato detto “Archieo” Si definiva lo “scrittore contadino” ed era molto orgoglioso di esserlo. Raccontava storie della vita contadina e del quotidiano, ha raccolto le testimonianze di persone semplici. Troviamo nei suoi racconti l’immagine riflessa di molti paesi e le sue storie, dunque, hanno un valore universale che supera il confine del paese in cui sono nate.
Questʼuomo ha vissuto una vicenda straordinaria, cioè quella di essere stato un anello si congiunzione tra due universi lontani ed eterogenei, come la vita dei campi e la scrittura. Egli è stato, dunque, un ponte che ha unito due sponde che raramente hanno dialogato in tutta la storia che conosciamo. Questo è il grande valore di un uomo nato contadino, che per tanti anni ha vissuto il duro e secolare orizzonte di fatica delle genti dei Colli e che, infine, è riuscito ad avvicinarsi a un mondo nuovo in cui ha portato i valori, il sentire e la delicatezza delle sue radici.
La Costiera di Villa in un documento del 1991 che rappresnta i luoghi com’era fino al 1950
Nel documento allegato Luciano Gasparato chiama per nome gli orizzonti della quotidiana fatica. Si tratta della Costiera di Villa spezzettata in circa un centinaio di piccoli fazzoletti strappati alla boscaglia, ed ognuno indicato con un nome: i vignai dea Crose, e banche de Bein, ea cesura del prete, i vignai del Gobo Matio, el vigane dea Crea… Appariva tutta pettinata, ricorda Gasparato, oggi, invece, è tutta ricoperta dal bosco.