Piccola storia della viticoltura – Dal I Millennio all’età romana

Dai Veneti antichi alla romanizzazione

Tra i popoli dell’Italia preromana, i Veneti antichi occuparono l’ampio tratto di pianura che margina la laguna, dal Po al Tagliamento, delimitata a nord dai rilievi pedecollinari e dai corsi dell’Adige e del Brenta. I primi insediamenti sono databili al Mesolitico (9500-5500 a.C.) ma la civiltà si protrae sino al I millennio, fino all’imporsi della dominazione romana. Padova ed Este sono tra i centri maggiori espressi da questa civiltà che vantava una propria lingua, il venetico, estintosi con la romanizzazione, ma documentato dalle iscrizioni ritrovate.

Recenti studi hanno approfondito il tema delle relazioni tra Veneti ed Etruschi per cui si può supporre che proprio costoro, tra l’ VIII ed il V secolo a. C., abbiano contribuito a diffondere la vite anche nel Veneto (vinum è un termine etrusco). Indizi suggeriscono come fosse ampiamente sfruttata la vite selvatica e come successivamente fosse selezionata una qualità per la coltivazione, destinata alla produzione, in età romana, del pregiato vino retico. Utilizzavano le bacche della vite selvatica (Vitis silvestris), i cui lunghi tralci spontaneamente dovevano intrecciarsi alle chiome degli alberi. Tale sistema di coltivazione in uso presso gli etruschi sarebbe stato qui importato integrandosi con le risorse alimentari provenienti dall’agricoltura, dall’allevamento, dalla caccia e dalla pesca.

L’imporsi di una civiltà del bere in quest’area, testimoniata dalla preziosa situla “Benvenuti”, aveva una valenza sacrale in quanto bevanda rara riservata al cerimoniale religioso, usata nelle offerte agli dei o ai templi, mentre in ambito profano restava appannaggio della classe sacerdotale ed aristocratica, come segno di distinzione, anche con valenza di rito comunitario in un cerimoniale.


proprio costoro: Fedele F., L’evidenza impalpabile: il bere nella preistoria europea, in Storia del vino, a cura di P. Scarpi, Milano 1991, p. 62.

pregiato vino retico: Venetkens. Viaggio nella terra dei Veneti antichi, a cura di M. Gamba, G. Gambacurta, A. Ruta Serafini, V. Tiné, F. Veronese, Venezia, Marsilio, 2013, p. 202.

importato: Sereni E., Storia del paesaggio agrario italiano, Bari 1984, p. 26.

offerte agli dei o ai templi: Sereni E., Per la storia delle più antiche tecniche e della nomenclatura della vite e del vino in Italia, in Terra nuova e buoi rossi e altri saggi per una storia dell’agricoltura europea, Torino 1981, p. 104.

L’età romana

Con la dominazione romana, la vite divenne una delle componenti fondamentali della produzione agricola, almeno dal II secolo a. C., quando la classe dirigente repubblicana ritenne che fosse più conveniente importare il grano dalle province conquistate ed incrementare in Italia l’olivicoltura e, soprattutto, la viticoltura. Questo elemento si congiunge alla necessità di far fronte alle esigenze alimentari dell’Urbe e del suo popolo e di provvedere all’approvvigionamento delle legioni.

Il primo indice di integrazione con culture di area nordica si ha proprio nei recipienti contenitori: mentre i romani fermentavano il vino in grandi giare interrate, e in simili dolia avveniva anche la conservazione, saranno le botti ed i tini di legno il primo segnale di contatto e di integrazione con le popolazioni celtiche.

Oltre ai molteplici testi classici che riferiscono del diffondersi della viticoltura in età romana una preziosa testimonianza ci viene da un epigramma del poeta Marziale in cui si parla delle “contrade euganee di Elicaone” con i “dossi dipinti e trapuntati di viti”. Egli fa riferimento ai “pampinea iuga”: si tratta di festoni, di tralci in tirèle, tra albero ed albero e con l’aiuto di pali. Il termine iuga è l’esatta denominazione latina di tale modo di tendere le viti, che assumono l’aspetto di una serie di gioghi.

Il vino puro, di prima spremitura, era riservato alle libagioni sacrificali ed al culto oppure per essere usato come farmaco. Nella dimensione profana del simposio il vino si mescolava con l’acqua e veniva aromatizzato: diffusa era la passione per i vini conditi, mielati, liquorosi ed al sapore di frutta. A livello popolare la pressante domanda veniva soddisfatta con surrogati quali vini di fichi, di mele, di more.

integrazione con le popolazioni celtiche : Fedele F., L’evidenza impalpabile: il bere nella preistoria europea, in Storia del vino, a cura di P. Scarpi, Milano 1991, p. 62 – Sereni E., Per la storia delle più antiche tecniche e della nomenclatura della vite e del vino in Italia, in Terra nuova e buoi rossi e altri saggi per una storia dell’agricoltura europea, Torino 1981, p. 170.

integrazione con le popolazioni celtiche: Beggio G. – Corrain C., La vite e il vino nella giurisdizione della Vangadizza dal medioevo all’età moderna, in “Miscellanea di Studi su Badia Polesine e il suo territorio dal medioevo all’età contemporanea”, serie VI, p. 6.

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