- il ruolo di Venezia
- una viticoltura "contadina"
L’Illuminismo veneto e il ruolo della Repubblica di Venezia
Finalmente – scrive lo storico Andrea Gloria nel 1855 – il governo della Repubblica si avvide dei gravissimi errori corsi nei valicati secoli a detrimento dell’arte benefattrice anche se – aggiunge – non isciolse mai la proprietà dai pesi insopportabili delle decime, quartesi e pensionatico. Così nel 1768 il professor di agronomia Pietro Arduino – dell’Università di Padova – fu incaricato di esaminare la qualità dei terreni del Veneto dominio e le coltivazioni in uso, per suggerire i mezzi più validi per rialzare e prosperare l’agricoltura. Si tratta, comunque, di un fenomeno europeo che, sull’onda del grande movimento fisiocratico ed agronomico, vedrà il moltiplicarsi degli studi di agricoltura e un nuovo interesse per i vini condannando, ad esempio, la pratica della pigiatura senza dividere gli acini dal raspo, che determinava la produzione di un vino ricco di tannini o, ancora, la scarsa attenzione alle fasi della fermentazione.
Il movimento – che vide sorgere Accademie di Agricoltura in tutte le principali città del Veneto – si fece portavoce dell’esigenza di miglioramento delle tecniche e delle conduzioni agrarie imputando, nell’ambito vitivinicolo, la colpa della produzione di vini scadenti e la perdita dei mercati, all’imperizia nella coltivazione delle viti e nella vinificazione – così si diagnosticò nella seduta dell’Accademia di Conegliano del febbraio 1772. A Padova l’Accademia fu fondata nel 1768 e nei primi atti si pubblicarono diversi studi dedicati alla viticoltura sui temi della maturazione delle uve, bianche e nere a confronto, sulla potatura, sui danni provocati dalle nebbie, ecc.
Andrea Gloria: Gloria A., Della agricoltura nel Padovano Leggi e Cenni storici, in Scritti raccolti e pubblicati dalla Società d’incoraggiamento per la Provincia di Padova, Vol. II, Parte I, Padova 1855, p. CCXCII.
fermentazione: Picco L., Tra filari e botti: per una storia economica del vino in Piemonte dal 16° al 18° secolo, Torino 1989, pp. 31-32.
febbraio 1772: Calò A., Tradizioni nel Piemonte e nel Veneto: esempi per un tentativo di interpretazione della nostra storia vitivinicola, in Storia del vino, a cura di P. Scarpi, Milano 1991, p. 111.
si pubblicarono: Calò A. – Paronetto L. – Rorato G.P., Storia regionale della vite e del vino in Italia. Il Veneto, Milano 1996, p. 143.
Le tradizioni di una viticoltura “contadina”
Il colpo fatale alla viticoltura dell’antico Pedevenda si ebbe nell’inverno del 1709 quando alcune gelate terribili distrussero gran parte delle viti. Fu così che nell’opera di reimpianto le classi rurali si affidarono in prevalenza a vitigni abbondantemente produttivi, senza particolare attenzione alla qualità.
Collegandosi allo sviluppo demografico, lento ma continuo della prima età moderna, la spinta in senso quantitativo porterà ad abbandonare sempre più il vigneto a palo secco (che richiedeva molta mano d’opera) ed a maritare la vite agli alberi ricavando così anche legna.
L’espansione demografica, inoltre, indurrà ad occupare spazi e risorse anche a danno dei boschi per cui vedremo espandersi sui dorsali delle colline quella coltivazione del mais – avvicendandosi al frumento nella ruota agraria – indice di una cerealicoltura di sussistenza, che si accompagnerà ad una viticoltura ispirata dalle medesime esigenze di sopravvivenza.
Nella cantina del contadino il vino buono – vin grosso – viene tenuto per pagare l’affitto e per comprare quelle poche cose necessarie per sopravvivere, mentre per il proprio consumo userà un surrogato detto vin piccolo, un vino annacquato e di infima qualità.
Questo sistema si coniuga con una arretratezza colturale che permane a lungo. Il quadro ci viene fornito dal medico monselicense Scipione Mercuri il quale descrive il costume di vendemmiare precocemente le uve per timore dei furti o di perdite e le altre negligenze per cui o si lascia bollire più di quello che conviene, & così la parte migliore si converte in fumo, o si lascia bollir meno, & così resta crudo overo si colloca in vasi fetidi che perciò piglia il tuffo di muffa, o marcia … questo errore è così famigliare nel Padovano, che poche sono quelle case, che non habbino il vino, che non sappi di muffa, o da marcia.
anche legna: Barbieri G., Veglie Tauriliane, Padova 1821, p. 61.
da marcia: Mercuri S., De’ gli errori popolari d’Italia libri sette, Padova 1645, p. 532.