soldato disertore partigiano

Una biografia esemplare

Nato nel 1924 appena in tempo per essere chiamato alle armi conosce lo sbandamento generale dell’8 settembre. Di nuovo alle armi con il bando Graziani, riesce a fuggire e comincia una vita di latitanza alla macchia. E’ la parabola di molti giovani sempre in bilico tra il nascondersi e l’esser presi, con il timore di essere destinatari di una delazione o cadere in una retata.

il 13 dicembre c’è stata una retata. Sono riuscito a fuggire e sono diventato disertore

Il tutto è partito con la chiamata alle armi… Io ho qui l’originale de ‘Il Gazzettino’ del 1943. E’ venuto fuori il bando, naturalmente, che bisognava… appena salito su… salito su Graziani e il duce… è venuto fuori questo bando che chiamava... posso anche lasciarglielo… che chiamava alle armi la classe 1924, e io ero appunto della classe del 1924. Al che io mi sono rifiutato, naturalmente, di andare. Sennonché il 13 di dicembre c’è stata una retata e mi hanno preso e siamo stati accompagnati al 20° artiglieria di Riviera S. Benedetto e lì son rimasto. Abbiamo subìto anche il primo bombardamento che è stato il 18 dicembre 1943, primo bombardamento di Padova… e sono rimasto fino al 13 gennaio 1944, dopodiché, nel momento di pausa, sono riuscito a fuggire e quindi… e quindi [sono] diventato disertore. E infatti qui nel foglio matricolare… che potrei lasciarle una copia… sono stato dichiarato disertore, perché naturalmente ho abbandonato il corpo… e deferito al tribunale militare il 17 ottobre… disertore il 12-13 gennaio e deferito al tribunale militare il 18 ottobre 1944. Quindi dovevo per forza stare alla macchia, io e anche mio fratello, che abitavamo allora a Tramonte.

RB 1924

… non ci si poteva far vedere per le strade nè in chiesa nè in nessun altro posto

E’ stato formato all’inizio un primo gruppo partigiano autonomo, dopo, invece, alla morte per fucilazione di Luigi Pierobon, che è avvenuta il 17 agosto 1944…”.
“Sì… siamo passati alla Brigata Pierobon che era naturalmente la brigata, diciamo così, bianca, per poterci capire… e poi c’era la Brigata Garibaldi, invece, che andava a quelli che erano un certo tipo di ideologia… però c’era anche una collaborazione. Io tenevo i contatti con la zona dei Colli, con l’Onorevole Saggin che era uno dei dirigenti del Corpo Volontario della Libertà, con Cesare Andreoli, il medico che abitava qui a Villa, quello soprannominato Castelli, e con l’ingegner Giuseppe Bussolin che era il fratello dell’insegnante Bussolin che insegnava qua a Villa”
Purtroppo la vita quotidiana era quella che era… che non si poteva muoversi, non si poteva far niente, in quanto che, dopo la mia diserzione, dovevo continuare a passare… naturalmente quando uno è alla macchia... e quindi… non mi hanno però, fortunatamente, mai trovato… […] cercato sì, ma non mi hanno mai trovato perché avevamo anche noi i nostri informatori che ci dicevano: ‘Guarda che i carabinieri…’. Anzi, c’era la Guardia Nazionale Repubblicana, allora, non c’erano più i carabinieri. Oppure i tedeschi muovevano e avevamo questo rifugio che si poteva eventualmente sfuggire… Però non ci si poteva far vedere per le strade né in chiesa, né in nessun altra parte.

Si viveva ritirati


Nel nostro gruppo eravamo una ventina, una ventina qui della zona tra Teolo… ma più di tutto della zona di Tramonte, insomma, che funzionava. Io dovevo tenere il contatto dal punto di vista dell’informazione con il comandante Andreoli e Bussolin, quindi era una cosa molto limitata, però, essendo stato deferito al tribunale militare, dovevo stare un po’ attento, quindi non è che potevo tanto espormi nelle varie… Era una vita molto ritirata, non si andava mai né a messa… niente, niente, completamente ritirata […]. Si viveva nascosti, io e anche mio fratello, naturalmente… Era sottotenente degli alpini, è fuggito l’8 settembre e ad un certo momento siamo stati costretti nella collina. Noi abitavamo a Monteortone, sotto Tramonte, in quella casa in curva appena passato il ponte Rialto; e ad un certo momento, c’era il monte dietro, abbiamo scavato una piccola caverna e quando si sentiva che i tedeschi giravano perché c’erano rastrellamenti... e allora andavamo a rifugiarci in questa caverna, scavata da noi e si rimaneva lì il tempo necessario, per un giorno, due, tre, fintanto che passava. Perché è stato fatto anche in quella zona là un lancio di materiale bellico, fucili e altre cose da parte delle truppe alleate a questo gruppo della Brigata Pierobon, sennonché le Brigate Nere sono venute a conoscenza e ci hanno fregato tutto, tutto il materiale… e d’altra parte si doveva stare anche ad una certa distanza, anche con una certa prudenza, perché ti portavano… tanto è vero che non si andava né a messa né in nessun altra parte.

Era il giorno dell’Assunta … andiamo a messa a Praglia … sono arrivate le Brigate Nere, l’hanno preso e portato in Germania…


Era il giorno del 15 agosto del ‘44, la Madonna dell’Assunta, mio cugino, questo Francescato… ‘Ormai son mesi che non andiamo, andiamo a messa a Praglia’. Io che sono nato a Praglia e quindi conoscevo bene… ‘No, non vengo mica’. Infatti è andato alle funzioni del pomeriggio e sono arrivate le Brigate Nere, l’hanno preso e portato in Germania. Quindi quel giorno lì sono stato fortunato, perché altrimenti sarei finito in Germania. Però, nel contempo, anche il municipio dove andavano a prendere nota di questi che andavano a lavorare a Vo’… […]. Io figuravo disertore e quindi non ero nella lista di quelli che potevano essere chiamati per lavorare, perché la mia posizione è sempre quella di disertore… appunto come risulta dal certificato, dal foglio matricolare. Mentre, verso la fine, venuto il comando tedesco rinforzato presso la villa… la villa Monzino di Monterosso […]. Quella villa era stata requisita: c’era il comando tedesco, era la villa dove avevano scritto anche il bollettino della vittoria di Diaz del ‘15-’18, è stato scritto lì, a villa Bembiana… allora questa villa Bembiana dove c’era collegata… era stata collegata con tutti gli altri comandi della zona, specialmente con i vari comandi che erano i vari stabilimenti di Abano, e il collegamento avveniva tramite fili… Ecco, l’ultimo mese… naturalmente, il municipio, saputo che io ero a casa… siamo stati requisiti per andare a fare la custodia di notte a questi cavi perché, naturalmente, c’era il pericolo che venissero tagliati o danneggiati e quindi obbligavano la popolazione, gli uomini della zona, a fare questa custodia durante la notte in modo che, noi che eravamo anche del gruppo partigiani… non facessero danno… per evitare rappresaglie verso la popolazione. Quindi ce ne siamo ben guardati… perché non è possibile agire e dopo… la popolazione inerme ne avesse avuto un danno… quindi bisognava essere un attimo… […] Un po’ di cautela, per evitare anche quello che è successo poi anche alle Selve.

Un modello di lotta partigiana: costituire una rete di informazioni più che intervenire direttamente con il pericolo di rappresaglie (come a Selve)


Ecco, l’unico discorso nostro era quello di evitare che i tedeschi potessero fare meno danno possibile, insomma… e quindi c’era questo collegamento tra la periferia e il comando partigiano di Padova di informare i vari spostamenti in modo da intervenire. Non è stato mai necessario, ma intervenire qualora avessero danneggiato edifici pubblici o altre cose […]. C’era solamente questa vigilanza continua per evitare […] che potessero creare danni agli edifici e alle cose, e nel contempo anche informare sui movimenti delle varie truppe in modo che… se eventualmente queste avessero creato delle difficoltà si poteva intervenire. Però non abbiamo mai avuto bisogno di intervenire, anche i giorni della liberazione… Noi informavamo sempre il comando di Padova, lì c’è stato, diciamo così, qualche piccolo scontro.

Azioni di guerra naturalmente non ce n’erano, era più un discorso di essere vigilanti, quindi non c’era neanche motivo… l’unico motivo era quello di avere delle informazioni il più possibile… quelle ognuno cercava di averle non raggruppandoci ma magari con un contatto… trovandoci singolarmente, quindi c’era una specie di rete sparsa che non raggruppata…” ecco, l’unico discorso nostro era quello di evitare che i tedeschi potessero fare meno danno possibile, insomma… e quindi c’era questo collegamento tra la periferia e il comando partigiano di Padova di informare i vari spostamenti in modo da intervenire.

E poi il periodo bellissimo della ripartenza… c’è stato tutto un fermento…

Nel momento della liberazione, naturalmente, si sono aperte anche quelle che erano le prospettive, anche per quanto riguarda il lavoro e già nel 1944, verso la fine, si era… ci eravamo posti il problema sul piano politico e abbiamo fatto anche il primo gruppo di adesione alla Democrazia Cristiana e quindi siamo usciti poi allo scoperto, alla liberazione, e d’accordo con altri amici di Tramonte abbiamo fondato il partito della Democrazia Cristiana nel 1945 e poi abbiamo proseguito anche per gli anni successivi raccogliendo un buon numero di giovani che… e poi c’è stato tutto un fermento di vita, sia per quanto riguarda la vita municipale, abbiamo partecipato subito alle prime convocazioni elettorali, sia per la Costituente del 1946, sia per la formazione, appena finita la guerra, della giunta comunale nominata dal Comitato di Liberazione Nazionale… e poi alle prime elezioni amministrative del 1946, per la prima amministrazione comunale… che è stato nominato sindaco Asti. Mentre come sindaco della liberazione è stato nominato il Dott. Vittorio Zago che era anche lui partigiano, non facente parte del nostro gruppo… che è stato il primo sindaco della liberazione e come vice sindaco è stato eletto così… dal raggruppamento del Corpo Volontari per la Libertà, Vittorio Fasolo. […] Dall’aprile 1945 fino al giugno del 1946 sono stati in carica loro e poi c’è stato, naturalmente, un fermento di attività, ognuno ha trovato possibilità di collocarsi, specialmente i giovani. E poi c’era anche tutto il discorso dei reduci che tornavano e quindi con l’impegno di sistemare questa gente… Io sono entrato allora in municipio, nel dicembre del 1947 e sono rimasto fino al 1971… e quindi c’è stata un’azione di cultura democratica, di cultura cattolico – democratica, direi… con una sensibilità anche sul piano umano, sul piano pratico, sul piano economico per poter creare un tessuto organico e valido e per dare… almeno le amministrazioni comunali si sono allora mosse in questo senso qui… per dare anche un indirizzo a quelli che venivano a chiedere lavoro e altre cose del genere… e specialmente per quanto riguarda tutta l’assistenza alle vedove di guerra, ai mutilati, invalidi. E’ stato un periodo bellissimo appena finita la guerra, perché si è riscoperto tutto quello che era stato sopito per tanti anni. […] C’era un aiuto reciproco ma clandestino, poi invece siamo usciti allo scoperto ed è stato possibile allora ricostruire tutto quel tessuto umano e sociale che naturalmente era stato… non abbandonato ma comunque violato durante il periodo fascista, ecco. […]
Forse non si capiva il tutto… che stava succedendo… l’abbiamo capito dopo quello che poteva essere un indottrinamento a senso unico. Invece da una cultura pluralistica di un rapporto aperto e libero, per quanto riguarda… diciamo così, la comunicazione e le idee, sia per quanto riguarda l’attività economica… Quindi c’è stato un periodo bellissimo, si è visto che il paese cresceva e si vedeva anche che nel suo insieme anche la provincia cresceva, anche il Veneto cresceva… e quel periodo là è finito. […] Una regione che ha dato un sacco di emigrati a destra e a sinistra, invece un po’ alla volta tornavano e si iniziava un tipo di attività, diciamo così, capillare di… lavoratori autonomi, di piccoli artigiani e altre cose e si ritrovava, diciamo così, quell’unità regionale, nel senso… nel senso di respiro regionale che purtroppo prima non c’era”.

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