le donne si raccontano. La condizione femminile dai racconti autobiografici

Ho fatto una vita così …

“… ci siamo sposati nel ’29, noi … . Ho fatto una vita così… e vestiti ne avevamo uno d’inverno e uno d’estate e questo paltò, questo paltò aveva tanti anni…

Due righe, la sintesi di una vita, di una condizione, di una prospettiva. Una promiscuità che interferiva in maniera pesante che non lasciava alcun spazio all’intimità della coppia, alla spontaneità delle relazioni.

“Sì, sì, sì, vivevo con i suoceri … e anche con due nuore… con due cognate, perché sono stata un po’ di anni anche con loro fino a che si sono sposate”.

Concetta 1907

Le donne andavano alla “messa prima”, all’alba, anche d’inverno, e poi una dura giornata, disponibile ad imparare anche i lavori più umili e più pesanti.

Governavamo i bambini perché ne avevamo sempre uno di piccolo …

La chiesetta a Bresseo, in Villa Lugli, faceva la messa alle nove di domenica e basta. Veniva un frate da Praglia a fare messa qui, alle nove… e se no bisognava andare a Villa, a Montemerlo … . Ci alzavamo alla mattina, governavamo i bambini, perché ne avevamo sempre uno di piccolo, e poi andavamo a messa a Montemerlo... A Montemerlo andava su presto, anche d’inverno, anche alle cinque e mezza, sei massimo… e allora… Venivamo fuori da quella strada fangosa, … gli zoccoli li lasciavamo sul ponte, ci mettevamo le scarpe … . Sai, per andare a messa! Non per andare a spasso, andavamo a messa. Adesso, invece, le cose sono cambiate tanto. Chi farebbe quella vita là! .. . Andavamo a Montemerlo perché per noi era scomodo andare a Villa e anche a Bresseo… A Bresseo, alle nove… Una donna in casa non poteva, perché, poco o molto, una pignatta ce l’avevi su... e avevi il fuoco, non avevi la cucina da poter dire: ‘Be’, magari metto un pezzo di legno grosso e…’. Legni grossi non ce n’erano, non c’erano altro che bacchetti e potevamo trovarli sul monte… Anche su per il monte sono andata, anche se non ero abituata…[…]. Io ho imparato a mungere la vacca. ‘Sì’, ha detto la Nea. ‘Così adesso devo imparare anch’io…’ Perché dopo ci siamo divise… Lei e Ottaviano per conto loro…

Concetta 1907

Andavi sui campi dalla mattina alla sera

“No, cara… Io sono stata dieci anni insieme con mia cognata qua, con i suoceri. Io mi sono maritata il 30 novembre del ‘40 e il vecchio è andato via nel ‘41… in marzo del ‘41… Ed io mi sono sposata e ho trovato: cinque ragazze, due ragazzi che fa sette, io e mio marito che fa nove e suo papà e sua mamma che fa undici… Undici persone, tutti insieme […]. Dieci anni sono stata insieme. C’era da fare, sai, perché loro avevano campi e allora andavi sui campi dalla mattina alla sera… e d’inverno, sai dove andavo? A curare il monte su per di là, dalla mattina alla sera, […] tagliare tutto il seccume e lasciare là i rametti… due fascine loro, […] i padroni, e una io […]. Prima andavamo a fare tutti i vigneti, a fare le fascine dove tagliavano le vigne. Anche là, due loro e una io. Pensa, quand’era finito sembrava spazzato, sembrava scopato, il monte… le vigne… Raccoglievamo perfino le bacchette così, perché legna non ne avevamo mica, noi… Sempre là, lavorare là e basta, e dopo, in inverno… Dunque, a fare i vigneti era in primavera… qua da Pasqua bisognava che fosse finito tutto…
Non c’erano soldi, non ce n’era neanche uno. Prendevo io del sussidio del bambino diciotto lire al mese. Diciotto lire, non diciottomila… Io andavo a prendermeli alla posta […]. Li davo in mano a mia suocera, io non vedevo una lira… mi avesse dato… Allora si pagava ad andare a messa. Io sono sempre stata cattolica, sono sempre andata a messa, andavo a messa prima, la maggior parte, e ci volevano dieci lire… non dieci lire, dieci centesimi erano, e cinque centesimi…”.
per pagare l’offerta?
No, per pagare la sedia, per pagare la sedia. E io non li avevo mai, allora dovevo stare in piedi, a volte […]. Il campanaro veniva a prendermela, gliela dava a quelli… dicevamo la palanca, noi, non dicevamo dieci centesimi, dicevamo la palanca e cinque schei, una palanca e venti schei…

Zenia 1920

Avevo tante cugine a servizio …

Però c’erano sempre i signori e i poveri, se lo ricordi. Sì, le due categorie, che adesso non esistono più. Io mi ricordo che anche con uno straccetto… stavo bene con tutto, mia mamma me lo diceva sempre. Avevo tante cugine che erano a servizio da grandi signori a Padova: allora ci portavano a casa le cose che scartavano. Ah, be’ cara, sempre, ci teneva tanto vestite bene, tanto… però era come il duce! […]”

Attilia 1928

Sono stata otto anni soto paron in una famiglia

“Io ero stata otto anni “soto paròn”, otto anni in una famiglia, sai… e quando andavo per i negozi a prendere cose che mancavano alla signora, che era vedova, lei, con quattro figli, cosa vuoi… ‘Ancora là è’; ‘Ma perché?’, dicevo io. ‘Perché non tutti stanno tanto così…’
Eravamo in sei… eh no, un’altra, anche… in tre siamo arrivate alla terza elementare, dopo là su quel paese Sant’Eufemia di Borgoricco, dove abitava la signora prima di sposarsi non facevano altro, bisognava andare a Padova, sai … . Lui il marito era da qua: quando ci siamo trovati, ci siamo trovati perché con i signori venivamo qua fuori, d’estate, in vacanza tre mesi, a Treponti. C’era il palazzo di Barison, non so se hai sentito parlare del palazzo di Barison… ecco… Lui poi aveva un’altra casa e noi ospitavamo là tre mesi all’anno… I figli allora non andavano a scuola, erano tutti in vacanza… perché aveva quattro figli, no… Tre mesi stavamo qua… e allora è per questo che io ho conosciuto mio marito perché stava qua lui... Ecco…così… tre mesi venivamo fuori… ed era una casa… non con pavimenti belli… tavole… pulivamo per terra pezzo per pezzo… Dopo è cambiato tutto… Adesso non pare neanche più Treponti di una volta

“Niente, così… A volte mia mamma mi scriveva qualcosa… Eravamo scomode, Sant’Eufemia di Borgoricco… Veniva due volte… in un anno veniva due volte, tre... ed io dopo… finché avevo bambini piccoli, andavo giù poco… e allora mi raccontava qualche novità lei, quando veniva mi raccontava … sempre di noi famiglie, sai, non di altri, degli interessi degli altri.

Concetta 1907

Non eravamo adatte per quel mestiere

Le donne non potevano intraprendere attività commerciali, pubbliche e di responsabilità. Il padre aveva una grande emporio commerciale di cappelli a Padova … ma

… dopo, mancato mio padre, noi quattro donne non eravamo certo adatte per fare quel mestiere, sicché è stato tutto quanto cambiato…

Elvira 1930

Mia mamma ha portato il fodero di una pistola tedesca dal calzolaio…  inventare soluzioni e riciclare oggetti e materiali

… mio fratello che era il penultimo, Renzo, che era nato nel ‘38… quindi quanti anni aveva… sette anni, faceva la prima: ha fatto la prima comunione, […] e non c’era niente per vestire, non si trovava niente, proprio negli ultimi mesi. Mia mamma ha portato questo fodero della pistola tedesca dal calzolaio: c’era un calzolaio a Teolo, bravo, di quelli che non solo riparavano ma anche facevano le scarpe […]. Con queste strisce ha fatto un paio di sandaletti a Renzo e mia mamma ha fatto tingere, o ha tinto in casa, la stoffa di questa camicia e ha fatto calzoncini e gilet a questo ragazzino e con una camicetta bianca lui ha fatto la prima comunione vestito da tedesco. Che roba… E noi per vestirci, durante la guerra, mi ricordo che a casa abbiamo trovato un rotolo di tela da lenzuola, di quelle ancora della nonna, messe via. Perché una volta, tanti e tanti anni fa, mia zia mi raccontava e anche mia mamma… coltivavano la canapa, la filavano e facevano, tessevano… duri, grossi, le lenzuola, così... Be’, con questa tela ci siamo vestite io e mia sorella […]: vestiti bianchi e ci facevamo la… Mi ricordo ancora, le crocette rosse e blu qua sul listino, sul collettino. Addirittura prendevamo la lana dei materassi, filata, e ci facevamo le maglie con quella, perché non ne trovavi. La prima lana che abbiamo trovato era una lana piuttosto rustica, grezza, di pecora e la lavoravamo in casa, facevamo noi, insomma. E mi ricordo anche avere un paio di scarpe, era un lusso, non ne trovavi: e c’era un altro calzolaio a Lozzo, a Vo’, non mi ricordo… Ma mi ricordo che facevamo anche otto – dieci viaggi: ‘Sì, sì, se trovo la pelle, se posso…’. Qualche volta riusciva a trovarla e ci faceva quelle scarpe molto belle, quelle che adesso sono moderne, con la zeppa, sai, belle, perché allora la roba era anche buona. Se trovavi un pezzo di pelle era pelle buona, durava tanto […]”.
Mia mamma ci teneva tanto anche a tenerci bene e tante cosette ce le faceva lei. Però la roba da festa, si diceva allora, quella ce la faceva fare sempre dai sarti, mi ricordo… Ma dopo era industriosa, per esempio faceva fare anche le braghette, i calzoni per i ragazzi, li faceva fare dal sarto, li faceva bene. Dopo, quando erano consumate le disfaceva, le scuciva […] e dopo li faceva lei, per dirti… Mi ricordo che faceva perfino i cappelli col piqué, […] ma belli, come quelli che si compravano. Le piaceva, sai, tenerci bene […]”.

Camilla 1924

Passando i vestiti da una all’altra

Con biciclette nuovissime, di terza mano possibilmente, perché allora non si usava comprare roba nuova. Casa nostra la mentalità era questa, specialmente perché abbiamo passato il periodo della guerra e bisognava fare economia. Il vestito della sorella maggiore era nuovo di solito, ma andava bene anche alla seconda, e dopo alla terza… L’unica fortunata ero io che non entravo nei vestiti di mie sorelle per cui me lo facevano nuovo per forza. Salvo che non mi adattassero un vestito vecchio di mia nonna, per esempio, quando non era di mio nonno… Me ne hanno fatto uno una volta… indimenticabile!

Elvira 1930

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