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Un problema secolare: penuria d’acqua e paludi
La sete degli Euganei è fenomeno millenario derivando dalla natura geologica che non favorisce gli imbibimenti meteorici, con la formazione di sacche sotterranee. Esistono sì polle e risorgive ma non di tale consistenza da consentire sfruttamento. L’altro aspetto che si accompagna alla secolare penuria di quell’acqua indispensabile per i bisogni alimentari e igienici è dato dai danni provocati dalle periodiche esondazioni o dall’azione delle acque di dilavamento che, scendendo dalle alture, allagavano e impaludavano vasti tratti di valle. L’acqua, scolando dai pendii, giunta in pianura si fermava sul terreno argilloso e torboso, bloccata dalle arginature di fiumi e canali che scorrevano a un livello più alto del piano di campagna.
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Testimonianze
Scrive Ferdinando Cavalli alla metà del secolo XIX, riferendosi al padovano in generale: …« la loro bevanda ordinaria è il vinello; il vino lo serbano pe’ tempi de’ lavori faticosi; l’acqua che sono costretti a bere, è quasi sempre malsana ed impura».
Qualche anno più tardi conferma Francesco Pimbiolo degli Engelfreddi: «Ho io anco spesse fiate osservati i medesimi Contadini allargare con grave pregiudizio della salute la mano alla bevanda d’acqua contenuta neì Pozzi, ovvero nelle molteplici Fosse delle nostre campagne, benchè fosse ella torbida, stagnante, e non di rado eziandio puzzolente…»
Per quanto riguarda le conseguenze delle esondazioni ecco una testimonianza riferita al territorio di San Pietro Montagnon (Montegrotto). L’11 giugno del 1754 gli abitanti del luogo si rivolgono ai Provveditori alla Sanità della Repubblica con questa supplica:
«L’universale allagazione di quasi tutta la villa di san Pietro Montagnon causata dalle piene del Bachiglione e dall’altra del Pigozzo, Resesi l’acque stagnanti sopra dette Campagne causano con l’occasione della corrente staggione una non ordinaria puzza nociva ala salute delle persone non solo ma più ancora agli animali che per necessità cibarsi devono di quella putredine o di quell’acque corrotte ….” Implorano gl’infelici abitanti di essere liberati dale acque poiché oltre la perdita generale di tutto l’aracolto sono anco esposti con le loro vite à qualche infezione …»
Cavalli Ferdinando, Studj economici sulle condizioni naturali e civili della Provincia di Padova. In: Scritti raccolti e pubblicati dalla Società d’Incoraggiamento per la Provincia di Padova, Vol. I, Padova, 1851, p. 168.
Antonio Pimbiolo degli Engelfreddi, Esame intorno le qualità del vitto dei contadini del territorio di Padova, Padova 1783, p. 80.
Archivio di Stato di Padova, Sanità, b. 172, p. 955
In queste pagine Ferdinando Cavalli rappresenta la situazione idrica dei Colli soffermandosi a descrivere le diverse fontane, partendo da quella famosissima di Arquà e dando anche una versione della denominazione “cannola” della fonte di Teolo.
Cavalli è stato uno studioso di problemi economici e politici (Chiari 1810 – Padova 1888). Membro del Governo provvisorio di Padova nel 1848; deputato e vicepresidente della Camera, senatore 1868 (vedi: Maggiolo A., I soci dell’Accademia patavina dalla sua fondazione (1599), Padova, Accademia Patavina di Scienze, Lettere ed Arti, 1983, alla voce).
Le manutenzioni disposte dal Vicario di Teolo Sertorio Orsato, 1694
Le pratiche di manutenzione divengono perciò una preoccupazione prioritaria di ogni amministrazione. Ecco un esempio di provvedimento adottato dal Vicario di Teolo, Sertorio Orsato nel 1694. Il Vicario ordinò che il Rialto fosse scavato in larghezza per piedi 18 e in profondità per quanto necessario, per impedire che lo scolo continuasse a riempiersi di legnami e detriti. Per impedire questo fenomeno successive ordinanze di scavo, di pulizia acque e di arginatura si protrarranno anche nel XVIII secolo.
Archivio di Stato di Padova, Corporazioni soppresse, Santa Maria di Praglia, b. 126, c. 417f.
Le cause: la “piccola età glaciale”
In realtà il problema è secolare, abbiamo detto. Sulle cause, lo storico Le Roy Ladurie avanzò l’ipotesi che a partire dagli anni ’80 del secolo XVI si verificasse una «piccola età glaciale» che se accolta implicherebbe nel corso del XVII un accrescimento delle difficoltà nell’opera di sistemazione e di controllo anche dell’idrografia veneta. E’ noto infatti che in periodo glaciale le acque di montagna scendono fangose e cariche di materiale solido: da cui una instabilità dei suoli, una frequenza di frane e di alluvioni ed un innalzamento del letto dei fiumi.
L’avvio dell’economia capitalistica
Un primo tentativo di rimedio arriva con l’età moderna e l’avvio di una mentalità capitalistica. Ne è testimonianza l’istituzione di una magistratura ad hoc attuata dalla Repubblica veneta. Nel 1577 i Provveditori sopra li luoghi inculti dovettero occuparsi di risolvere i gravi problemi conseguenti a una malsana e paludosa base collinare (della cui condizione si ha ancor oggi memoria nei toponimi quali Vo, Valle San Giorgio, Val Calaona, Valsanzibio, Valnogaredo). Le periodiche “brentane” del Bacchiglione allagavano le campagne di Tencarola e Brentelle fino ai pressi di Praglia, dove altri danni erano causati dalle acque piovane che, scendendo dai colli circostanti, si univano allo “scoladizze” confluenti nei canali “scoladori” e quindi contribuivano a far traboccare le fosse del Rialto e Rialtello.
Le bonifiche di Praglia
Opere di bonifica locale furono affrontate dai monaci sin dal XVI secolo specie nelle proprietà più vicine al monastero di Praglia, dove si sperimentarono quei contratti di colonìa parziaria che comportavano l’intervento diretto del padre cellerario. Riuscivano, comunque, ben accetti perché fecero compartecipi nella buona e nella cattiva sorte gli stessi contadini, i quali erano impegnati a “remondar ogni anno el terzo deli fossi vecchi che son su la possessione” e a collaborare alla salvaguardia della campagna recentemente bonificata e ad estendere il raggio d’azione dell’intervento. In generale le opere di bonifica cessarono per la spaventosa epidemia che colpì la popolazione rurale nel 1629-31; ferme per un secolo, ripresero solo nel ‘700 inoltrato.
La situazione padovana nell’800
Avvicinandosi ai secoli più vicini la situazione non sembra migliorare di molto. Dagli studi di Giulio Monteleone sappiamo che la situazione dell’acqua potabile nel padovano, nel secondo Ottocento, era buona in 53 comuni su 103, mediocre in 30, cattiva in 20. Mentre a Belluno 47 comuni avevano condutture per l’acqua, 11 a Treviso, 56 a Udine, 16 a Verona, 25 a Vicenza, a Padova solo un comune poteva servirsi della rete idrica.
A Teolo nell’800
A Teolo, in particolare, la situazione idrica fu sempre drammatica, tanto che fu risolta definitivamente soltanto negli anni ’60 del Novecento. I colli, infatti, pur copiosi di acque termali e minerali, sono scarsi d’acque dolci. La riparazione delle tre fonti di acqua potabile di Teolo, denominate Canola, Nuova e Pendisella, meritano, pertanto, tutta la sollecitudine dell’Amministrazione Comunale che con delibera del 26 luglio 1893 incarica il sorvegliante delle strade e fonti, Testolin Leonardo, di riferire sulle spese necessarie ad alcune riparazioni ed alla costruzione di una vasca nella prima – la Canola, “così detta forse perché zampilla da una doccia di ferro della figura d’un pezzo di canna” – allo scopo di renderla idonea a lavanderia della biancheria ed altri indumenti in sostituzione di “altra resa inservibile dal tempo”.
Nel 1886 fu costruita nella piazzetta principale del paese una fontana pubblica che sfruttava l’acqua di una piccola sorgente esistente in posizione più elevata, sul monte che sovrasta il paese e che dava allora circa 300 ettolitri nel corso delle 24 ore. Ma essa andò inaridendosi tanto che oggi non dà più di 27 litri di acqua all’ora, pari a circa 700 litri nelle 24 ore. Se si pensa che gli ab. di Teolo Alto sono 1300 si vede che la disponibilità di acqua per abitante è di poco più di mezzo litro a testa nelle 24 ore. Le donne sono costrette a spingersi sino alla località Canola, verso Zovon, dove esiste un’altra piccolissima sorgente, compiendo altri 1500 metri di percorso e discendendo e risalendo 113 gradini.
Soluzioni nel ‘900
La soluzione comincia a intravvedersi negli anni Sessanta del Novecento quando prendono corpo progetti come l’acquedotto della Bassa padovana e da quello Euganeo-Berico che, partendo dalla fonti Polegge, presso Vicenza, viene progettato con un percorso di 60 km. per servire i comuni di Abano, Cervarese, Saccolongo, Teolo, Selvazzano, Montegrotto fino a Battaglia
Ancora all’inizio del secolo XX l’approvvigionamento idrico per Arquà, Battaglia, Galzignano, Rovolon e Teolo aveva trovato parziale soluzione nei piccoli impianti locali che spesso non servono nemmeno tutti i centri abitati del comune. A Teolo nel 1925 un’ipotesi di accordo con il Comune di Padova per una tubazione che portasse acqua lungo la Montanara e fosse poi portata anche a Teolo mediante un impianto di sollevamento spinto. Il fatto è che agli amministratori è ben presente il problema:
«Della necessità che sia risolto questo problema ritengo inutile intrattenere il Consiglio che deve bene ricordare le gravi epidemie di febbri infettive sviluppatesi vari anni or sono in quasi tutto il territorio comunale a cagione dell’avvenuto inquinamento delle nostre acque come la continua preoccupazione del ripetersi di questo fatto abbia ritardato lo sviluppo di queste nostre belle plaghe, a questo fatto deve poi aggiungersi la vera e grave scarsità d’acqua nei periodi d’estate…»
Si era anche valutato l’ipotesi di utilizzare le risorgive che alimentavano il laghetto del Venda che alla fine si rivelarono appena sufficienti per alimentare gli insediamenti militari di cima Venda e alla stazione trasmittente della Rai TV.
Ancora nel 1953 il Comune spese in soli due mesi d’estate quasi mezzo milione per portare l’acqua con gli autobotti da Villa a Teolo Alto. Gli esercenti – alberghi, osterie – e tanti privati hanno provveduto con mezzi propri a rifornirsi con spese ingenti di trasporto.
Notiziario dell’Azienda di Cura di Abano Terme, 7 (1955), n. 7, lulgio 1955, p.n.n.
Un evento epocale: l’acquedotto a Teolo
In attesa della grande opera dell’acquedotto Euganeo-Berico, dunque nel 1955 Teolo vede realizzare un piccolo acquedotto locale, che, captando risorgive locali, ai piedi della Rocca Pendice, innalzerà l’acqua al paese pittoresco e e sitibondo. In tal senso è stato deciso a Roma col Ministro Merlin e il sindaco di Teolo, Asti. Teolo realizzerà il suo piccolo acquedotto autonomo, che sfrutterà falde di acque abbondanti ed a poca profondità, nei pressi di Villa, in una zona limitrofa al Pendice, la cui esistenza è stata accertata dall’illustre geologo prof. Dal Piaz.
L’acqua e le strade sono le due grandi voci che in quegli anni del secondo dopoguerra segnano per Teolo e i Colli Euganei l’inizio del grande rilancio
Il “Notiziario dell’Azienda di Cura di Abano Terme” ne dà un ampio resoconto nel numero di settembre del 1955.