Fratelli di latte
La famiglia di Antonio Dalla Muta, per via delle storie delle persone che la compongono, costituisce una campionatura che ci consente di inquadrare temi e questioni riconducibili al primo Novecento. Ognuno dei componenti della famiglia rappresenta il caso emblematico di una storia comune a molti.
I Dalla Muta erano e sono ancora conosciuti come Majolin. Nel regime antico l’uso dei soprannomi era frequente. Anzi si può dire che poche persone non avevano nomignoli che li identificavano, vuoi per un aspetto fisico, per una provenienza o per un antenato. Oppure come nel caso di cui si racconta, il toponimo che identificava la terra potrebbe essere emigrato alle famiglie che la coltivavano. Nel Colonato del 1668 del Comun di Monterosso1 – che non corrisponde all’attuale unità amministrativa ma al villaggio, in sostanza – compare una contrà dele magioline che potrebbe aver dato il soranome ai Dalla Muta, che è un ceppo in realtà proveniente da Castelnuovo a cavallo del Novecento, ma che avrebbe potuto avere radici lontane nelle campagne di Monterosso.
contrà dele magioline: ASP, Estimi 1668, b. 614
Caterina Cazzoli, madre di Antonio Dalla Muta e balia di Cesare Vergani
I protagonisti di questa vicenda sono Caterina Cazzoli nata a Castelnuovo nel 1861, mamma di Antonio che era stata balia di Cesare Vergani. Andare a balia nelle famiglie signorili significava mesi di vita relativamente agiata e serena ed evitava i pericoli di nuove maternità per la maggior probabilità di evitare gravidanze durante l’allattamento.
Il figlio di Caterina, Antonio, prima di sposarsi era stato emigrante in Germania e dopo il matrimonio, avvenuto presumibilmente nel 1912, era andato ad abitare nella casa che lo stesso Cesare aveva edificato a Feriole di Abano per il suo “fratello” di latte. All’epoca “fratello di latte”, cioè essere stati nutriti dal seno della stessa donna, costituiva un legame vero e profondo.
La moglie di Antonio, Angela De Benetti, era stata a servizio presso una famiglia padovana, senza neanche andare mai a scuola, fino all’epoca del matrimonio. La condizione servile delle giovani donne, fin dalla tenerissima età lasciate addirittura prive di ogni formazione scolastica, come nel caso di Angela, apre una finestra sulla relazione stretta tra impoverimento dei ceti contadini e sviluppo del lavoro servile femminile. Esso diviene una variabile di lungo periodo per ovviare alla necessità di ristabilire l’equilibrio tra consumo e lavoro nell’economia domestica dei ceti rurali e determinando, inoltre, notevoli preoccupazioni di ordine morale. Si tratta di categorie – le domestiche come le mondine – considerate particolarmente a rischio sin dall’ultimo decennio dell’Ottocento, quando lo sguardo dei cattolici si era fatto particolarmente attento alle questioni sociali.
Sull’argomento vedi il saggio di Liviana Gazzetta, Cattoliche durante il fascismo. Ordine sociale e organizzazioni femminili nelle Venezie, Roma 2011, Cap. 5 “La collaborazione allo stato assistenziale fascista”, pp. 226-236
Il primo figlio di Antonio, Raffaele (n. nel 1915), aveva conosciuto i rigori delle convenzioni morali che ingabbiavano e talvolta opprimevano le esistenze. Raffaele aveva lasciato la morosa dopo lunghi anni di frequentazioni, e questo aveva determinato la riprovazione morale dell’intera comunità che lo costrinse a emigrare a Bologna, dove visse fino alla morte. Il terzogenito Onorio (nato nel 1919) era stato un reduce della ritirata di Russia e si era sposato nel 1945, qualche settimana dopo la fine della guerra; la mamma Angela, che aveva imparato la cucina borghese nella sua infanzia a servizio, aveva preparato il pranzo che si consumò per pochi invitati nel tinello di casa.