I falò dell’Epifania
Un’antica tradizione, ancor oggi praticata, prevedeva di dar fuoco alla Vecia. La Vecia, la Vecchia costruita di stracci e sterpaglia, simbolo della fame e di ogni altra privazione, veniva posta sopra lo stolo, e alle prime ombre della sera le fiamme della purificazione la raggiungevano per distruggere le forze malefiche della natura. Il falò si accendeva non alla vigilia, come consuetudine per altre simili celebrazioni, ma la sera stessa della festa perché con la notte si chiude il ciclo astronomico più freddo e il giorno dopo la luce si allunga sensibilmente, a Pasqueta n’oreta, dice il proverbio.
Il tema del fuoco è legato all’Epifania. La venuta del Messia Redentore appare come una gran luce che dirada le tenebre in cui è immerso il mondo. Nel racconto evangelico (Mt. 2, 1-12) si riferisce della stella dei Magi che brilla come una fiamma, come un fuoco indica dove sta il vero re dei re, il salvatore Gesù.
E’ in questo contesto culturale che le tradizioni popolari si sono impadronite di questo tema del fuoco. Ognuno, a seconda della cultura familiare, assegna nomi diversi alla tradizione dei fuochi per l’Epifania: pirola, bugneo, vecia, pan-e-vin. La “liturgia del fuoco” viene celebrata, dunque, la sera della festa. I ragazzi andavano a pulire i campi da ogni sterpaglia o erbaccia, facendo dei fasci con i quali costruivano il brugnelo, un falò acceso sul calare delle tenebre. I vecchi, infine, affidavano le ceneri al vento, traendo le loro previsioni (con molte varianti): se el fumo va a matina ciapa el saco e va a farina / se el va a sera se impenise a panera. Oppure: meti su la caldiera, puoi farti la polenta, l’anno sarà buono. Ciò che restava del fuoco, era sparso nei campi come benedizione e la mare de casa raccoglieva poche braci nella scaldina per portare la benedizione del fuoco in casa e nella stalla. Queste azioni tendevano a propiziare le forze benefiche della natura, al fine di ottenere un anno buono.
Le notizie sono tratte da: Coltro Dino, Santi e contadini. Lunario della tradizione orale veneta, Cierre edizioni 1994, pp. 39-43.
La Befana
Nella tradizione la festa si chiamava la Befana, nome che non è altro che l’aferesi di Epifania: Epifania, Pifania, Bifania, Befana. Il proverbio dice: Epifania tute le feste porta via. Esprime una prospettiva tipicamente contadina: dopo l’Epifania bisogna tornare al lavoro, i fuochi hanno riscaldato la terra, ora bisogna aiutarla nel suo risveglio con il lavoro! Il sole già offre giornate più lunghe, anche se fredde; a l’Epifania un passo de stria, la luce cammina con il passo della strega; Epifania el pì gra fredo che ghe sia.
Con ogni probabilità in questa figura della Vecia o della Stria sopravvive una figura arcaica, simbolo della Madre Natura che giunge vecchia, rinsecchita e sterile, alla fine di un ciclo vegetativo, che può essere chiamato “anno” oppure “stagione”.
Pasqueta
L’Epifania viene indicata anche con il termine di Pasqueta. Questo modo di indicare la festa dei re Magi, ci richiama alla tradizione vetero cristiana di chiamar “pasqua” tutte le feste solenni. Quindi, Pasqua della Natività, Pasqua dell’Ascensione e così via. Il fatto che il nome sia rimasto ad indicare oltre alla Pasqua di Resurrezione anche l’Epifania sottolinea il carattere di passaggio stagionale, di inizio di un nuovo ciclo vegetale dato dalla festa della Befana.