leggende

Sul patrimonio delle leggende

Il patrimonio delle leggende locali —seppur sia modesto il dato giunto fino a noi – affonda le sue radici fin nell’epoca medievale, epoca in cui il medium della voce popolare, mandata di orecchio in orecchio, aveva ancora la capacità di affabulare e travasare nel  comune sentire temi e vicende, dove molto spesso il reale si intrecciava con l’immaginario, le paure e il desiderio. 
Prendiamo, ad esempio, la vicenda di Cecilia che causò l’inimicizia fra i da Romano e i Camposampiero, per via del matrimonio fra Ezzelino II e Cecilia di Manfredo Ricco d’Abano, alla cui mano aspirava Gerardo da Camposampiero e che si vendicò oltraggiando la giovane. Essa è tratta da Rolandini Patavini Cronica in factis et circa facta Marchie Trivixane, aa. 1200- cc. 1262, a cura di A. Bonardi, in RIS, n. ed. VIII, parte I, Città di Castello 1905-1908, p. 15-18. 
Una leggenda locale ha intessuto una “bella favola” sull’origine del cristianesimo in Monselice, affidandone la paternità a s. Prosdocimo: “Poco lungi da Terralba, sulla strada che conduce ad Arquà, trovi il così detto Argine del Vescovo: una tradizione ne ricorda portar esso un tal nome perché passò per di là il primo vescovo di Padova, san Prosdocimo, per recarsi a predicare il Vangelo a Monselice; e giunto alla Rivella, e trovando guardato da soldati il tragitto, volse il cammino per quell’argine, e si diresse lungo il Montericco alla volta di Este” (da: Sartori F., Fra Gontarino ovvero Monselice nel secolo decimoterzo. Racconto, Monselice 1880-1881, p. 286.) 
Sull’origine di Monselice è giunta a noi anche la favola-mito di Egina e Sarpedone, l’una regina della Rocca e l’altro re di Monte Ricco. Dopo l’epico, inevitabile scontro, sarebbe sorta la città murata. La contrapposizione dei due personaggi nasconde probabilmente un significato allegorico proposto anche dal Roncato nella sua tesi laurea su Monselice del 1885 (nel capitoletto intitolato “Leggende intorno al fondatore di Monselice”) interpretandolo come allegoria della vittoria dell’industria e dell’attività umana, così da superare l’utilità che proviene dalla naturale ubertosità della terra (come sarebbe il Montericco). La leggenda è riportata anche dal Valandro (In-canto per la Bassa…, p. 41). Per il testo del Roncato si veda: 
Roncato A., Notizie storiche di Monselice, tesi di laurea, Università di Padova, Archivio dell’Università di Padova, s.v. Roncato Antonio, laur. 1885 (la prima tesi di laurea, secondo il Valandro, sulla storia di Monselice). 
Lo stesso Valandro (in Luoghi, vie…, p. 63) riporta una leggenda sull’origine del nome di Montericco. Al diarista veneziano Marin Sanudo che chiedeva il significato di Ricco fu risposto che si chiamava così perché il monte conteneva dell’oro. Tra i vecchi, infatti, dice Valandro, circola una breve leggenda secondo la quale transitava alle falde del monte un carro tutto d’oro, incastonato di pietre preziose, quando ad un tratto il muoversi di una grande frana sommerse il carro con il tesoro che trasportava. Molti cercarono di rintracciarlo ma nessuno lo trovò più. Ecco perché da allora il monte si chiama Montericco. 
Un racconto complesso che ha riunito elementi eterogenei d’epoche diverse,  viene riportato da Bona Benvenisti Viterbi in un suo testo del 1911 e dallo stesso Celso Carturan nelle sue memorie: si tratta della leggenda del conte di Monticelli e della Sirenina. La vicenda è nuovamente ripresa e commentata da R. Valandro in In-canto per la Bassa, p. 95-97.  I testi citati sono: 
Carturan C., Memorie di storia monselicense dall’Unificazione alla Seconda Guerra Mondiale, a cura di F. Rossetto, Monselice 1990 (Appunti di storia monselicense 5). 
Benvenisti Viterbi B., I Colli Euganei nella storia e nella leggenda, Bergamo 1911. 
Manifesta assonanze con l’analoga favola riportata dal Grimm anche la fola dea tosa sensa man riportata in: 
I Colli che cantano. Testi e musiche delle canzoni tradizionali euganee e breve silloge di altri brani raccolti, Teolo 1995, che raccoglie i frutti di un lavoro condotto da Roberto Tombesi con i ragazzi della Scuola media Statale “Tito Livio” di Bresseo, Fossona e Montemerlo. 
Molte notizie sulle fade, sull’orco-musso, e sugli altri personaggi della mitologia popolare come el salvane’oel basaliscoel bisso-ga’o, un serpente con la cresta come un gallo che s’abbeverava alle fontane spargendo il panico intorno sono state raccolte nell’area monselicense sempre da R. Valandro: 
Valandro R., In-canto per la Bassa. Le vecchie storie di una terra antica, Este, 1984, p. 98-114. Alle quali s’aggiunge la storia della povolata di Ca’ Oddo. La leggenda racconta di una strega bruciata e sepolta sotto le radici del pioppo (latino populus) la quale per vendetta avrebbe impedito l’espandersi della contrada (p. 115-118). 
Ispirato allo stesso intento, il volume di Danilo Montin recupera storie e leggende ed usanze, ma anche la memoria di personaggi bizzarri, per finire con filastrocche, proverbi meteorologici e canzoni popolari: 
Montin D., Dall’albero della memoria. Storie leggende filastrocche canzoni ed usanze dell’estense, Este, Parco Regionale dei Colli Euganei, 2004 (segnalato da Franco Sandon). Da segnalare la descrizione del costume euganeo (p. 64) e la pagina dedicata all’antico mercato di Este (p. 20) con la descrizione dei prodotti e delle occasioni in cui si consumavano. 
Una trasposizione letteraria di alcune leggende locali come il corpus relativo a Pietro d’Abano, Beatrice d’Este e il tiranno Ezzelino sono raccolte in: 
Sarrubbi S. — Krumbeck L., I Racconti di Antenore. Viaggio nella storia e nelle leggende dei Colli Euganei e di altri Paesi, Padova, Associazione Kalamo, 2006. 

Opere di riferimento

Numerosi reperti della cultura popolare troviamo nei lavori del Bernoni relativi all’ambiente veneziano e ristampati da qualche decennio: 
Bernoni D. G., Leggende popolari veneziane: le strighe, Venezia 1968. 
Bernoni D. G., Leggende popolari veneziane, Venezia 1970 
Si veda anche: 
De Bon A., Storia e leggende della terra veneta, Schio 1941.

Leggende locali

Vale la pena iniziare dal: 
Callegari A., Usi e costumi degli Euganei, in Atti del IV Congresso Nazionale di Arti e Tradizioni Popolari, Venezia – Settembre 1940, Udine 1943, p. 3-12, dove si parla anche, ad esempio, della famosa leggenda che nella sua versione popolare trasforma il ratto di Proserpina (rappresentato nell’affresco della villa Capodilista a Montecchia) nella cattura da parte del diavolo del signorotto locale crudele e tiranno, forse lo stesso Sigismondo Capodilista. 
[Rodella S.], Leggende euganee, S.l. 1959, che raccoglie alcune leggende locali: La Carega del diavolo, La Fontana delle Muneghe, Valle di Donna Daria, Non è più il tempo che Berta filava, Sirenella e Il pozzo di Pietro d’Abano, Cecilia, la Vergine di Baone, El Maz, La Beata Beatrice, La leggenda del lago di Arquà
Si veda inoltre: 
Bolzonella M., Colli Euganei e gli itinerari illustrati, Padova 19644 (dedica alcune pagine alle leggende — El Maz — Il Lago di Arquà — Quando Berta filava). Quest’ultima molto antica se la prima versione viene riportata dal giudice padovano Giovanni Da Nono (ca. 1276 — 1346) nell’opera De generatione aliquorum civium urbis Paduae tam nobili quam ignobilium, scritta fra il 1335 e il 1350. Lo stesso autore riporta alcune leggende e canti popolari in: 
Bolzonella M., Invito ai Colli Euganei, Este 1976, p. 107-113. 
Valandro R., Di alcune leggende, tradizioni e superstizioni nell’area monselicense, Padova 1979.

Speronella

Un cenno particolare merita la vicenda di Speronella: 
Cabianca I., Speronella Dalesamanina, Padova 1832. 
Ferrari G. S., Il ratto di Speronella, o Padova liberata, Mistretta 1875. 
Gloria A., Speronella e la riscossa de’ Padovani contro il Barbarossa. Cenni storici, Padova 1880. 
Rodella S., Speronella, “Città di Padova. Rivista del Comune”, 3 (1963), n. 4, p. 21 sgg. 
Cavalli G., Speronella, “Padova e la sua provincia”, 16 (1970), n.s., n. 6, p. 15-18 
Prati G., Speronella, “Padova e la sua provincia”, 16 (1970), n.s., n. 6, p. 18. 
Nell’Ottocento l’eroina assunse una veste patriottica. Così Filippo De Boni pubblicò nella “Gazzetta privilegiata di Venezia” (n. 32, 9 febbraio 1838, p. 125) una recensione al racconto Speronella, che definì “benedetto” perché coniugava la storia piacevole (il rapimento di una nobile liberata dai padovani) ad uno scopo “generoso”, risollevare cioè gli animi dei concittadini ed esortarli a combattere il regime austriaco.
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