Mio padre il podestà. Alcune verità sul fascismo “di paese”

L’ordine naturale delle cose

Nell’intervista della figlia del podestà si sente emergere la visione che ella ha respirato in casa. Una filosofia della storia, ad esempio, segnata dall’alternarsi degli opposti, quasi una popolare dialettica hegeliana segnata da cicliche opposizioni nell’ordine del divenire naturale delle cose. L’ordine naturale delle cose ha un grande peso nella visione del mondo in cui la vita fa spontaneamente – naturalmente – emergere le forze che la determinano e la orientano.

Ognuno l’ha vista in maniera diversa… anche perché vede, adesso, tutto il discorso democrazia, per esempio… Ci sono tanti oppositori dell’attuale democrazia e come questo ci sono stati gli oppositori del fascismo che era stato a sua volta un’opposizione a quello che era successo prima… perché la fine della Grande Guerra ha portato ad una situazione che ha creato il fascismo. Naturalmente il fascismo è una delle tante cose che possono succedere sulla terra, ma dopo, naturalmente, questa situazione portava a mettere su un piedistallo una certa cosa che… I personaggi sui piedistalli non sono mai piaciuti a nessuno… e allora, non appena uno andava su un piedistallo, c’era subito qualcun altro che cercava… e questo è nell’ordine naturale delle cose, perché… tutti quanti vorrebbero avere il posto migliore nella terra, insomma, ecco… Sicché in realtà… ma comunque, qua…”.

Elvira 1930

In questo frammento una figlia ricorda il padre, podestà del paese. Nell’episodio che racconta (una pedata al ragazzotto che importunava le bambine alla Feria di Bresseo) in fondo interpreta al meglio un’attesa e una visione in cui l’autorità si fa paterna e distribuisce in modo diretto, senza multe o punizioni, il giusto come il bene e il male. Forse coglie in maniera efficace un modo d’esser del fascismo.

Un’autorità paterna …

E’ stato molto amato perché era molto buono, mio papà, era di quelle persone che… piuttosto che dare una punizione nel senso… come si usa adesso… multe o cose del genere… Mi ricordo… qua in piazza c’erano le giostre, la sagra... e c’erano le giostre con i cavalli ed io ero piccola e mi ricordo che io e mie sorelle siamo salite sulla giostra dei cavalli… e c’era un ragazzotto che si metteva dalla parte oscura, quella buia e quando passavamo ci dava uno schiaffo sulle gambe, pensa che roba!… Mio padre, che si è accorto di questa cosa, ha fatto il giro della giostra, gli è andato per dietro e gli ha dato una buona pedata sul sedere e lo ha mandato via. Questo era il podestà del paese! Cioè, non gli ha dato né multe, né niente… gli ha dato una pedata sul sedere e lo ha mandato via… Questo è stato tutto, e mi è rimasta impressa questa cosa… così… Era un personaggio… favoloso, mio padre, ho un ricordo di lui… nella maniera migliore, perché era proprio stupendo. Un uomo di un sentimento, di una bontà, una cosa straordinaria. Tanto è vero che in paese lo hanno molto rimpianto quando è stato a casa… sì, quando ha rinunciato, insomma…

Un corpo sociale unico e unito 

Non c’è la politica, non ci sono le classi, le razze, i meridionali. La democrazia viene letta come una struttura gerarchica – nell’ordine naturale delle cose – ma senza distanze, per cui la figlia della serva dorme con le figlie del padrone, anche se tubercolosa. E’ la vicinanza di un’unità articolata in gerarchie, di un corpo sociale unico e unito naturalmente differenziato in membra con ruoli diversi. E’ il quid profondo del fascismo, la metafora biologica della spontanea disuguaglianza.

Democrazia? Una gerarchia senza distanze

… noi in famiglia non parlavamo mai di politica o di situazioni… eccetera… C’era solo la brava persona e la cattiva persona. Politica da noi sempre pochissima, anche se mio padre era stato podestà di Teolo per diverso tempo, fino al ’38: dopo, nel ’38 mio nonno è mancato e allora lui ha dovuto dare le dimissioni per prendere il posto di mio nonno nella direzione dell’azienda.

non avevamo la cultura del razzismo… Il razzismo è venuto fuori dopo… diciamo che dopo é venuto fuori… neanche il razzismo contro i meridionali… assolutamente […]. Ecco, forse c’era in quell’epoca il gusto dell’ironia verso il meridionale… […]. Non c’era il senso del razzismo, assolutamente… sarà stato di classe, quello sì… però, siccome a casa mia siamo sempre stati molto… usiamo la parola ‘democratici’… Io mi ricordo che avevamo la donna di servizio, anzi… ne avevamo anche tre… Eravamo in tanti in famiglia, avevamo bisogno di aiuto… La donna di servizio aveva una figlia che veniva a dormire a letto con noi... anche se era tubercolosa che, mi ricordo, in famiglia ci dicevano: ‘Ma siete matte? è tubercolosa…’

In questo frammento vediamo emergere un pregiudizio antico – gli slavi popoli selvaggi, dalle crudeltà bestiali – che ha radici nel sorgere dei nazionalismi ottocenteschi, convertendosi dal mito del buon selvaggio al pregiudizio del selvaggio tout court. Un pregiudizio che negli anni a venire si riformulerà trovando nuova linfa nel rinnovato contesto della guerra fredda.

Il mondo degli altri … la Jugoslavia

Abbiamo avuto dei contatti con persone che ci raccontavano di quello che era successo in Jugoslavia, quello sì… Mi ricordo un sacerdote... a me ha colpito questo fatto… che ci raccontava che in Jugoslavia […] prendevano le donne e facevano un buco da una parte e dall’altra nel ventre e gli infilavano le mani... e questa è una cosa che mi ha colpito spaventosamente, anche se non mi rendevo conto di cosa dovesse essere… certi generi di torture che si sentivano in giro… però non ci erano arrivati quelli della Germania

Da ultimo emergono dall’intervista alcune notazioni antropologiche, frammenti che aprono orizzonti sul costume, le visioni, il pensare. Cosa significava avere tredici anni rispetto ad oggi? E quell’ambiente in cui le cose dovevano venire come dovevano venire  è una traduzione popolare di quel vitalismo filosofico del quale si faceva cenno. Oppure quest’altra notazione sull’indossare il cappello che è un indice di costume molto più penetrante di quel che può apparire (… i semafori di Berlino … )

Cosa significava avere tredici anni …

Quattro sorelle, sì, io ero la più giovane… la meno vecchia, ormai… Sono del ’30, nel ’43 avevo tredici anni… ma tredici anni di una volta, non quelli di adesso che hanno già il moroso! Perché io penso che, a quell’epoca, non sapevo neanche la differenza che c’era tra maschio e femmina o quasi!… Non perché fossimo bacchettoni, no, proprio perché eravamo fuori da… da questi interessi… Era, un ambiente il nostro… molto sereno, molto naturale, le cose dovevano venire come dovevano venire e basta, senza… Invece adesso i figli hanno un impatto troppo violento con quella che è la realtà, mentre noi siamo andati un po’ alla volta…

La gente aveva tutta il cappello in testa… 

Oltretutto, chi adopera più il cappello adesso, la gente non ha mica più testa! Se lei guarda le fotografie degli incontri di calcio di… quarant’anni fa, cinquant’anni fa… le famose adunate oceaniche di Mussolini, la gente aveva tutta il cappello in testa. Adesso chi ha il cappello in testa? Nessuno! Salvo qualcuno che ha il cappellino dello sponsor... Evidentemente l’intelligenza è tutta da un’altra parte e non serve più proteggere la testa! Comunque, insomma, vendeva cappelli…”.

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