Petrarca

Come tutti sanno Francesco Petrarca trascorse gli ultimi anni della sua vita ad Arquà, che all’epoca era una sorta di Asolo dei Carraresi, dove molte famiglie nobili padovane possedevano terre e palazzi, e dove si spense nella notte del 18 luglio del 1374. Dei nostri Colli íl Petrarca parla per la prima volta in una lettera spedita da Pavia il 20 giugno (del 1369, secondo alcuni) all’amico Moggio di Parma. Qualche accenno, poi, si trova nelle Seniles: di particolare importanza la lettera al fratello Gherardo in cui il Petrarca comunica di essersi costruito “una graziosa casetta cinta da un uliveto e da una vigna che danno quanto basta… E qui, sebbene infermo nel corpo, io vivo nell’animo pienamente tranquillo, lungi dai tumulti, dai rumori, leggendo sempre e scrivendo e a Dio rendendo lodi e grazie” (XV, 5).

Il grande poeta non lasciò versi che si possano ascrivere ai Colli, anche se qualche critico riconosce in alcuni dei Sonetti certe assonanze che richiamano il nostro paesaggio. Il fatto notevole, comunque, è che possiamo percepire in queste righe di carattere informale del Petrarca quello che diventerà un topos nella rappresentazione dei Colli Euganei, spesso descritti e vissuti come un giardino dell’Eden, un rifugio gradevole, un porto sicuro alle intemperie della vita e anche un luogo favorevole all’ispirazione poetica, come il mitico Monte Elicona.

Francesco Petrarca a Moggio di Parma

Moggio affezionatissimo mi hai riempito di stupore e di gioia quando ho sentito che eri così vicino, quando invece ti credevo lontano. E che vuoi che ti dica? Avrei mille cose da scriverti: me lo impediscono il tempo e la speranza di vederti molto presto. Se infatti viene il mio signore – come si dice – io lo seguirò immediatamente per trascorrere, se ce ne sarà la possibilità, alcuni giorni tranquilli in una località di campagna, la cui etimologia ti sottopongo. Per parte mia io sono solito chiamarla “Linternum”, tuttavia sono pronto a seguire a questo riguardo, come in molte altre cose, il tuo parere. Se solo potessi mostrarti il secondo Elicona, che io ho innalzato per te e per le Muse su un colle Euganeo! Penso proprio che non vorresti mai più venirne via. Per adesso non ti dirò altro, se non che, se per caso dovessi partire senza avermi visto, tu mi raccomandi alla mia carissima signora, che, non ne dubito, si lagna di me; ma chiamo a testimone Cristo che mi trattiene una certa naturale pigrizia, per giunta accentuata dagli anni, e non una diminuzione di affetto.
Stammi bene e in prosperità, e ricordati di noi.
Tuo Francesco
Pavia 20 giugno, a sera e di fretta.

Francisci Petrarcae Epistolae de Rebus Familiaribus et Variae… studio et cura I. Fracassetti, vol. 3, Firenze 1863, Epistola XLVI, p. 421

Datata Arquà 28 novembre 1373, poco meno di un anno di distanza dalla morte del poeta, una lunghissima lettera (raccolta nelle Senili) è indirizzata al signore di Padova Francesco da Carrara. Si tratta di un vero e proprio trattato sul governo dei principi, uno “specchio per i principi” che sarà modello di tanti simili componimenti di età umanistica. Insieme ai molteplici richiami agli autori latini, nella lettera traspare talvolta qualche squarcio di vita quotidiana come in queste righe in cui il Petrarca raccomanda al principe la vigilanza affinché la Città (Padova) splendida e gloriosa per lo Studio e i luoghi santi, non sia degradata dai troppi maiali in libertà che scorrazzavano, insozzandole, per le vie, dei quali non sopportava la “turpe vista e l’ingrato suono”,
Qualche riga più avanti il poeta, inoltre, raccomanda al principe devoto e generoso (che gli donerà la terra sulla quale edificherà in Arquà la sua ultima dimora) di intraprendere le necessarie opere di bonifica per incrementare la fertilità dei Colli Euganei.

Petrarca e i maiali

… Or bene, una città splendida è deturpata – e ciò avviene sotto i tuoi stessi occhi; di te, dico, che potresti evitarlo – da branchi vaganti di maiali, quasi si trattasse di un’orrida e sterile campagna: li vedi sparsi dovunque e dovunque li senti grugnire e scavare la terra col grugno. Lercio spettacolo, rumore spiacevole. Noi, per la lunga abitudine, vi abbiamo fatto il callo, ma ci sono stranieri che se ne meravigliano assai, e fanno le critiche. Ma se il fatto è in sé odioso per tutti, ancor più deve esserlo per chi va a cavallo, ché in questo caso non si tratta di inopportunità ma di pericolo; imbattendosi infatti in questi sozzi animali i cavalli si impennano e, talora, fanno cadere il cavaliere. Parlandone dunque con te, ricordo che mi dicesti che il vecchio statuto municipale fa divieto di lasciare che i maiali passeggino per la città e che stabilisce che chiunque ve li trovi può portarseli via.
… Bisogna restituire alla città la sua nobile e antica maestà, non soltanto nel grande, ma anche nel piccolo, non soltanto nel suo funzionamento interno, ma anche nell’aspetto esterno in modo che … gli stranieri si rendano conto di essere entrati in una città e non in una fattoria…
Ciò detto passo ad altro. Dopo avere restaurato le strade pubbliche entro ed attorno alla città, eccoti un altro compito da affrontare con zelo e solerzia: il prosciugamento di tutte le paludi del circondario. In nessun altro modo potresti ornare meglio il volto di questa bella regione e valorizzare i colli Euganei ora assediati da queste paludi, colli noti ovunque per i rami di Minerva e nobili per il fecondo palmite del gran Bacco; se rendessi feconde le terre attorno ad essi, potresti restituire a Cerere campi opimi, ora sommersi da acque eccessive e stagnanti.

Petrarca F., Lettere Senili, volgarizzate e dichiarate con note da Giuseppe Fracassetti, Firenze, Le Monnier, 1869, 2 voll., XIV, 1.

Nel libro dodicesimo delle Senili il Petrarca scrive una lunga lettera al medico insigne Giovanni Dondi in cui confuta il consiglio impartitogli di non digiunare, non mangiare frutta e non bere acqua pura. Per inciso, i comportamenti alimentari del Petrarca sembrano in sintonia con le prescrizioni contemporanee piuttosto che con quelle della medicina suo tempo. La pratica del digiuno, infatti, la predilezione per la frutta e l’abitudine a bere l’acqua schietta sono sobrietà severamente sconsigliate dal suo medico. La lettera è datata 13 luglio e fa cenno, per inciso, alla penuria d’acqua che da sempre afflisse i colli Euganei.

La dieta del Petrarca

 

… da molti giorni, se i servi non mi sorreggono, sono incapace di mutar passo, fatto inutile corpo, grave peso a me stesso, e fastidioso ad altrui. E perché questo? T’odo rispondere, e teco a coro rispondono cento altri medici, causa se non unica, gravissima al certo de’ mali miei essere il bere che io faccio dell’acqua. Evviva dunque i beoni ! Ed altri aggiungono doversene accagionare il mangiar frutta, l’astinenza dalle carni, e il digiuno. Vada dunque alla malora la sobrietà. Se tutto questo è vero, per esser sano bisogna bere a modo degli ubriachi, e somigliare nel pasto ai lupi.

Coll’autorità dell’arte tua, tu mi prescrivi io mi debba astenere di carni salate, da salumi e dagli erbaggi crudi onde finora mi piacqui. Ed io ti obbedirò facilmente, perché provvida la natura scemò in me l’appetito per questa spezie di cibi, né più li cerco come prima soleva, e se mi s’imponga di non toccarli più mai, il farlo non mi costerà nulla. Ma poco anzi nulla io sono teco d’accordo nelle altre tre cose.

Tu vuoi primieramente che io lasci il digiuno, cui dall’infanzia fino all’età presente senza interruzione ho praticato … non è questa la prima volta che io noto come i consigli de’ medici siano discordi da quelli di Dio. … io son fermo, se piaccia a Dio di ridonarmi l’antica salute, di tornare al solito e inveterato uso mio di digiunare, dal quale nemmeno ora mi sono del tutto dipartito, ma solamente, a causa dell’estrema mia debolezza, ho ridotto alle norme di ordinario digiuno quello che in tutti i venerdì sono solito fare a pane e acqua, e coll’aiuto di Dio spero fra non molto riprendere l’antico costume.

Or vengo all’altro de’ consigli che tu mi dài… E questa sentenza è che le poma, e tutte quante sono le frutta fuggire da me si debbano come l’aconito o la cicuta. … Dio santo e buono! Onde mai quest’avversione, questo disprezzo di cose all’occhio bellissime, al tatto, al gusto, all’odorato più che altre mai gradite e soavi? … E come mai la natura si prese cotal gioco degli uomini nascondendo il veleno nelle più belle e più appariscenti delle sue produzioni?

Resta che io parli dell’ultimo tuo consiglio il quale tanto è contrario a quel ch’io sento, che quasi dallo stupore si arresta fra le mie dita la penna. Mi si vieta di bere l’acqua schietta. … Tu sciupi il fiato a dirmi ch’io non ne beva. Dubito però che tu e gli amici tuoi abbiate avuto parte nel farmi venire a questi colli fertili, ameni, abbondanti di tutto, ma poveri d’acqua, per modo che, quand’anche io voglia, non posso berla pura, perocchè nel passare dalla fonte a casa mia, tanto la scaldano i raggi del sole che più nel berla non trovo gusto.

Petrarca F., Lettere Senili, volgarizzate e dichiarate con note da Giuseppe Fracassetti, Firenze, Le Monnier, 1869, 2 voll., XII, 1, p. 207-229.

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