rappresentazione letteraria – bibliografia

I Colli nella rappresentazione letteraria

Per seguire le vicende della rappresentazione letteraria dei Colli seguiamo, con modeste aggiunte, la traccia indicata da: 
Baldan P., I Colli Euganei nella letteratura, in I Colli Euganei natura e civiltà, Padova 1989 (Natura e civiltà, 2), p. 269-304. 
Brugnolo S. — Gobbi P. — Pettenella A., Di pensier in pensier, di monte in monteTesti letterari dedicati ai Colli Euganei da sfogliare in quattro passeggiate, Sommacampagna (VR) 2001. 
 
Una silloge di brani letterari relativi ai Colli troviamo anche in: 
Abano nelle prose e nei versi di Giuseppe Barbieri, “Abano Terme. Notiziario dell’Azienda di Cura”, 4 (1952), n. 11, n.n. 
Carmignoto A., Poesie e brani di poeti e scrittori riguardanti Teolo ed il suo territorio, Prefazione di P. Baldan – Fotografie di S. Giorato, Comune di Teolo – Biblioteca comunale, 1997. 
Didicati al Monte Rua ed all’Eremo quelli contenuti in: 
Tosatto C., Eremo di Monte Rua. Richiami di storia e di spirito, Padova 1980, tra i quali è da segnalare Il Camaldoli di Rua nei Colli Euganei un’operetta di 423 versi di Paolo Della Torre, l’Anacreontica del conte Andrea Cittadella dal titolo “L’Eremo di Rua” (già comparsa in: Cittadella A., Versi, Rovigo 1839) e le memorie di Concetto Marchesi del suo soggiorno dal 20 al 27 aprile del 1935 seguito da un ritorno 4 anni più tardi. 
 
Note storico-critiche sulla letteratura ispirata ai Colli troviamo in: 
Alessi G., Scrittori sui colli Euganei: letteratura e vino, “Padova e la sua provincia”, 16 (1970), n. 11-12, p. 21-22. 
Semenzato C., Gli Euganei nell’arte e nella letteratura, in Roiter F., I Colli Euganei, testi di G. Piccoli, L. Calzavara, C. Semenzato, Padova 1980, p. 115-135. 
Baldan Paolo, I Colli Euganei nella letteratura, in I Colli Euganei natura e civiltà, Padova 1989, p. 269-304. 
Mandruzzato E., Ospite dei Colli, “Padova e il suo territorio. Rivista di storia arte cultura”, 9 (1994), n. 52, p. 8-11, che si occupa delle presenze dei grandi della letteratura nei Colli Euganei. 
Redditi S., Le testimonianze letterarie antiche sul bacino termale, in Delle antiche terme di Montegrotto. Sintesi archeologica di un territorio, Padova 1997, p. 16-19. 
Piccoli C., Poeti e letterati alle Terme, in Itinerari alle Terme, a cura di L. MarangonPadova 2002, una serie di brevi saggi pubblicati dall’IPSSAR Pietro d’Abano in collaborazione con il Lions Club Abano — Terme Euganee, p. 79-129. 
Selmin F., Paesaggi letterari, in I Colli Euganei, a cura di F. Selmin, Sommacampagna (VR), Cierre, 2005, p. 358-366; 

Menzioni classiche 

1) famosa è la scena in cui un Cornelio Augure ieratico presso la sede dell’Oracolo di Gerione, dava notizie sull’andamento della battaglia che a Farsalo impegnava Cesare e Pompeo: si tratta di una tradizione liviana ripresa nelle Notti attiche di Aulo Gellio (xv, 18), dalla plutarchiana Vita di Cesare e in un passo della Farsaglia di Lucano (libro VII). 
2) Molto noto è rimasto anche il lancio dei dadi d’oro nello stesso laghetto termale da parte di Tiberio quale auspicio di lungo e fortunato dominio. É Svetonio nella sua Vita dedicata al terzo dei Cesari che ce lo tramanda, assicurando che ancora ai suoi tempi i preziosi dadi giacevano ben visibili dove erano stati gettati. 
3) Di Marziale conosciamo il giudizio sulle terme (poi fatto proprio anche da Cassiodoro) che sarebbero risultate ingrate alle donne — forse per il danno arrecato alla loro onorabilità se non alla delicata carnagione (Epigrammi, iii, 42). Abbiamo poi l’altro famoso Epigramma (x, 93) in cui si rivolge all’amico Clemente per far recapitare ad una Sabina di Este i propri versi e in cui abbiamo una delle prime testimonianze dirette della viticoltura nei Colli Euganei: Se tu vedrai, Clemente, prima / Di me l’euganea terra patavina / Con i suoi colli rossi di vigne/ Porta a Sabina d’Este i carmi miei. Su questa Sabina Atestina dei versi di Marziale si veda: 
Aggio A., Della Sabina Atestina, “Isidoro Alessi. Rivista estense di storia lettere ed arti”, 1 (1895), n. 4, p. 29-30; n. 5, 35-37. 
Marziale, ancora, anticipa il sogno del Petrarca di trovare nei nostri colli il “porto della vecchiaia”, evocando un paesaggio intriso di richiami mitologici, e indicando nei “laghetti euganei” in cui “la più bella delle Driadi ha sposato il fauno antenoreo” (Epigrammi, IV25) il luogo prescelto. 
4) Plinio il Vecchio è colpito da questo emergere delle acque fumanti dal verde dei prati (Storia naturale, xxxi, 3) e ricorda come l’introduzione del castagno finisse per sostituire quasi completamente il faggio, facendosi preferire per il frutto e per il legno. 
5) Le acque, e i fanghi di esse impastati, non solo risanavano ma anche sventavano le malefatte: così, ad esempio, appena sorgeva il dubbio che una di quelle pecore celebrate da Giovenale per l’eccezionalità della lana (Satire, viii15) fosse di provenienza furtiva, l’immersione dell’animale nella vasca calda bastava a dissiparlo: il suo innaturale non lasciarsi spellare serviva quale prova del reato. 
6) Il più sostanzioso passaggio nella cultura classica abbiamo nel poemetto di cinquanta distici elegiaci intitolato Aponus scritto da Claudio Claudiano, un poeta originario di Alessandria d’Egitto e di cultura ellenistica ma del tutto romanizzato e che fu cortigiano di Onorio. Del Carme si occupa: 
Bolisani E., Il Carme su Abano di Claudiano, “Atti e Memorie dell’Accademia di Scienze Lettere ed Arti in Padova”, 73 (1960-61), p. III, p. 21-42, che riporta, commenta e dà una versione metrica del famoso Carme. Nel brano Claudiano introduce un tratto fondamentale nella rappresentazione dei Colli: la loro selvatichezza indomabile di antichi giganti che cova sotto le loro arie inoffensive, dolci e morbide. 
Dello stesso si era occupato anche: 
Landi C., Su l’idillio XXVI di Claudiano e il Fonte di Abano nell’antichità, “Atti e mem. Acc. Sc. Lett. Arti di Padova”, 36 (1919-1920), 215. 
Una traduzione del poemetto di Claudiano abbiamo anche a cura di Vittorio Trettenero (testo latino con traduzione italiana a fronte) edito a Padova nel 1901. 
7) Quasi un secolo dopo i lapidari versi del santo vescovo Magno Felice Ennodio e, più tardi ancora, la voce che Cassiodoro presta al re goto Teodorico nella lettera che ordina all’architetto padovano Luigi di ripristinare le fabbriche aponensi ormai fatiscenti, offre un ultimo squarcio su ciò che il sovrano chiama ancora “ornamento del mio regno, famoso in tutto il mondo”, prima che le orde longobarde mettessero tutto a ferro e a fuoco.

Notazioni in Petrarca e Boccaccio

Della produzione del Petrarca, gli studiosi concordano nel fatto che non sono ascrivibili ai Colli i componimenti del grande poeta, anche se conosciamo precise notazioni paesaggistiche e concreti riferimenti alla realtà che lo circonda, all’interno di qualche sua tarda lettera. Dei nostri Colli il Petrarca parla per la prima volta in una lettera spedita da Pavia il 20 giugno (del 1369, secondo il Billanovich) all’amico Moggio di Parma. In questa, la XLVI delle Variarum, egli a un tratto, entusiasta, esclama: “Se solo potessi mostrarti il secondo Elicona che per te e per le Muse ho allestito nel Colli Euganei! Penso proprio che di lì non vorresti mai più andartene“. Qualche accenno, poi, abbiamo nelle Seniles: di particolare importanza la lettera al fratello Gherardo in cui, sempre esprimendosi in latino, il Petrarca comunica di essersi costruito “una graziosa casetta cinta da un uliveto e da una vigna” (XV, 5). Tuttavia — sostiene ad esempio lo stesso Baldan – il poeta dà l’impressione di essersi di continuo ispirato, nelle sue poesie, all’ambiente naturale euganeo, e in molti passaggi del Canzoniere pare che il paesaggio di Arquà si confonda e si sovrapponga con quello nativo o con quello provenzale. 
 
Da allora iniziò la fama universale del villaggio, propiziata subito dal Boccaccio. Questi infatti, nel rispondere commosso alla lettera del genero del Petrarca che gli annunciava la morte del grande poeta, tesse gli elogi del paese che avrà in sorte la notorietà nel mondo legata al ricordo del sommo poeta. (Epistola a Francesco da Brossano del 3 novembre 1374, in Boccaccio G., Epistole, a cura di P. G. Ricci, Milano-Napoli 1965, pp. 1240-1257).

La Corte estense

Cavedoni C., Ricerche storiche intorno a’ trovatori provenzali accolti e onorati nella corte de’ marchesi d’Este nel sec. XIII, in “Memorie della R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Modena”, II, 1844. 
Folena G., Tradizione e cultura trobadorica nelle corti e nelle città venete, in Storia della cultura veneta dalle origini al Trecento, Vicenza 1976, p. 481-492. 
Ronconi G., Poeti di corte di Curia e di piazza. Giullari e rimatori colti alla corte di Calaone e nella Padova municipale e carrarese, in “Padova e il suo territorio”, a. VIII (1993), n. 46, p. 59-62. 
Peron G., Da Calaone a Ferrara. Itinerari trobadorici del Duecento, in “Padova e il suo territorio” 10 (1995), n, 57, p. 15-19. 
 
Una raccolta dei testi dei poeti che hanno avuto rapporti con la corte estense abbiamo in: 
Bettini Biagini C., La poesia provenzale alla corte estense, Pisa 1981. 
Ispirato a Beatrice è il canzoniere del bolognese Buvalelli pubblicato in  
Buvalelli R., Le Poesie, a cura di E. Melli, Bologna 1978; similmente un altro poemetto è ispirato alla vicenda della Beata: 
Roverini D., Il monte Gemola e la Beatrice Estense, Padova 1865.

Ariosto e Rabelais

Abbiamo poi due alte testimonianze letterarie in cui la realtà euganea viene avvertita nella sua mista natura di paesaggio sulfureo e arcadico. Nel Canto XLI dell’Orlando Furioso Ludovico Ariosto descrive lo scenario in cui Bradamante incinta, alla ricerca disperata dello sposo Ruggero, del quale ignora la morte a tradimento per mano dei Maganzesi, partorirà il progenitore degli Estensi: “Fra l’Adice e la Brenta a piè de’ colli / ch’al troiano Antenòr piacqueno tanto, / con le sulfuree vene e rivi molli, / con lieti solchi e prati ameni a canto, / che con l’alta Ida volentíer Mutolli, / col sospirato Ascanio e caro Xanto, / a parturir verrà ne le foreste / che son poco lontane al frigio Ateste” (ott. 63). Cresciuto tra boschi selvaggi ma ai margini di un antichissimo centro come Padova, fatto risalire ai Trolani fuggiaschi capitanati da Anteriore, il giovinetto offrirà un valido aiuto a Carlomagno che lo ricompenserà creandolo Signore dei luoghi. Per l’Ariosto, anzi, è proprio in questa occasione che Ateste diviene Este: “E perché dirà Carlo in latino: – Este / signori qui, – quando faragli il dono, / nel secolo futur nominato Este / sarà il bel luogo con augurio buono; / e così lascierà il nome d’Ateste / de le due prime note il vecchio suono” (ott. 65). 
 
L’altro grande è il Rabelais che nel Cap. XXXIII del suo “Gargantua e Pantagruele” (uscito nel 1542) narra della guarigione di Pantagruele che soffriva di pisciacalda di cui restano tracce — si racconta – in molte parti d’Europa,  
E in Italia: 
A Montegrotto; Ad Abano; A San Pietro di Padova; A Sant’Elena; A Casa Nova; A San Bartolomeo; Nel contado di Bologna, alla Porretta; E in mille altri luoghi. 
Io mi stupisco grandemente d’un branco di matti filosofi e medici che perdono il loro tempo a disputare donde venga il calore delle dette acque, e se dipenda da boràce, o da solfo, o da allume, o da salnitro, contenuti nelle miniere; essi non fanno che farneticare e sarebbe assai meglio che andassero a strofinarsi il culo sui cardi, che perdere il tempo a discutere su ciò di cui non sanno l’origine. Infatti la spiegazione è facile e non occorre andare a indagare più oltre dal momento che i detti bagni sono caldi perché derivati da una pisciata calda del buon Pantagruele.

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I Colli nel Ruzante

Pochi ma significativi i riferimenti ai Colli nel Ruzante: 
Il primo è in Parlamento de Ruzante che iera vegnù de campo, scena seconda, 39, in Ruzante, Teatro, testo, traduzione a fronte e note a cura di L. Zorzi, Torino 1967, p. 527. Ecco il testo: 
Ruzante: … A’ ve dighe che ‘l’ha gran cuore, chi se mete a muzare. Quante fiè criu che a’ m’he fato da morto, e sì me he lagò passar per adosso cavagi ? A’ no me sarae movesto, ch’i m’aesse metù adosso el monte Venda! A’ ve dighe la veritè, mi; e sì me par che chi sa defendere la so vita, quelù sea valent’omo. 
 
E poi nell’Anconitana, atto V, scena IV, in Ruzante, Teatro, testo, traduzione a fronte e note a cura di L. Zorzi, Torino 1967, p. 874 in cui si dice: 
RUZANTE [esce dalla casa di Doralice]  Oh sia lodato Iddio! Stasera finalmente andremo tutti ad Arquà. Il vecchio non avrà mangiato inutilmente il confetto e i pinoli rappresi né quei dolci che vengono d’oltremare, mostacchi morlacchi, che dànno vigore. E neanch ‘io avrò mangiato a vuoto le croste di formaggio salato e quei tre pani cosi grossi, né avrò bevuto per niente quel vino che ha una vena di brio che Madre Beata!… 
Canchero è proprio un bel pezzo di figliola! E tutta latte e vino e deve avere due gambe, due ginocchia, due cosce… Oh – non fatemi parlar male! – oh come ce la spasseremo in quei boschi! Il vecchio tarda a venire. Eppure mi ha detto che lo aspetti qua davanti… [Passeggia, in attesa]. 
 
Si può dire che Arquà era la Asolo dei Carraresi ed il suo prestigio è sempre alto anche nei secoli successivi, sotto la dominazione veneziana, ed è variamente testimoniato anche in letteratura. Così, in questo passo dell’ Anconitana del Ruzante si presenta il ricco e rimbambito ser Tomao che proprio nella sua villa in Arquà architetta di soddisfare i suoi capricci sessuali con la cortigiana Doralice. 
Un cenno generale all’opera del Ruzante ed al suo significato si veda: 
Padoan G., Angelo Beolco, detto il Ruzante, in Storia della cultura veneta, 3/III, Dal primo Quattrocento al Concilio di Trento, a cura di G. Arnaldi e M. Pastore Stocchi, Vicenza 1981, p. 343-375.

Citazioni nella letteratura pavana

Milani M., Nuovi testi pavani del ‘500: “Il Dialogo di Duoi Villani Padoani”, “Atti e Mem. Dell’Acc. Pat. Di SS.LL.AA., Classe di Scienze morali lettere ed arti, 80 (1967-68), p.te III, p. 395-437. 
Paccagnella I., Origine padovane del Macaronico: Corrado e Tifi, in Storia della cultura veneta. Dal primo Quattrocento al Concilio di Trento, 3/I, Vicenza 1980, p. 413-429. 
Milani M., Nuovi testi pavani del ‘500: il “Dialogo” di Rocco degli Arimenesi, “Atti e Memorie dell’Accademia Patavina di SS.LL.AA., Classe di Scienze Morali Lettere ed Arti83 (1970-71), p.te III, p. 191-221, un colorito racconto che si pone come una sorridente ma attenta “guida” della Serenissima ad usum vilici. 
Milani M., Nuovi testi pavani: lo “Stuggio del boaro” del vicentino Lucio Marchesini, “Atti e Memorie dell’Accademia Patavina di SS.LL.AA., Classe di Scienze Morali Lettere ed Arti83 (1970-71), p.te III, p. 223-269, interessante per la storia dell’agricoltura oltre che ricchissima sotto il profilo lessicale. 
Selmin F., Testi pavani del ‘600: poesie inedite di Sertorio Orsato, “Atti e Memorie dell’Accademia Patavina di SS.LL.AA., Classe di Scienze Morali Lettere ed Arti85 (1972-73), p.te III, p. 261-292. 
Bandini F., La letteratura pavana dopo il Ruzante tra manierismo e barocco, in Storia della cultura veneta, 4/I, Dalla Controriforma alla fine della Repubblica, a cura di G. Arnaldi e M. Pastore Stocchi, Vicenza 1983, p. 327-362. 
Schiavon Chiara, In lengua grossa, in lengua sutile. Studi su Angelo Beolco, il Ruzzante, Padova esedra 2005 (Vocabolario storico dei dialetti veneti, 7). 
 
Un caso particolare costituisce il Giovan Battista Maganza, notevole pittore, ma anche autore di una produzione poetica in “lengua pavana” attuata, assieme ai compari Menon e Begotto, dopo aver camuffato il suo nome in Magagnò e che si dice originario dei Colli: “Callaon, / ch’ è dessora de Este un bon megiaro, / Ori me mar me pissé de drio an pagiaro“. 
Le Rime di questi allievi del Ruzante sono raccolte in  
De le Rime de Magagnò, Menon, e Begotto in lingua rustica padovana, Venezia 1659, non devono trarre in inganno perché si tratta di abili letterati che si divertono a travestirsi da “boari” per lo spasso e il divertimento del bel mondo, ma che comunque, conservano tracce di realismo autentico almeno per via di una vicinanza con la condizione contadina dell’epoca. Tra essi possiamo comprendere anche: 
Pasquale delle Brentelle, Prenuostego snaturale contegno e per l’anno che seon, Venezia 1614. 
 
La critica ottocentesca pone l’accento sul carattere realistico del versi del Magagnò: 
Pasqualigo C., Cenni sui dialetti veneti e sulla lingua macaronica, pavana e rustica, Lonigo 1903, p. 19-65; si vedano anche le recensioni di Parodi G., in “La cultura”, 22 (1903), p. 155 e di Livingston A. A., in “Romanic Review”, 1 (1910), p. 102-104. 
Nel Novecento ampi studi sul Magagnò che ne sottolineano il manierismo a fianco dell’ambiguità che adatta il contadino alle necessità del letteratismo, si trovano: 
Viola R., Due saggi di letteratura pavana, Padova 1949. 
Dazzi M., Il fiore della lirica veneziana, I; Venezia 1956. 
Bandini F., La letteratura pavana dopo il Ruzante tra manierismo e barocco, , in Storia della cultura veneta, 4/I, Dalla Controriforma alla fine della Repubblica, a cura di G. Arnaldi e M. Pastore Stocchi, Vicenza 1983, p. 327-362. 
Tra i Sonagitti e canzon del Magagnò vogliamo qui citare il componimento dal titolo: 
I gnuochi de Magagnò che costituiscono un’interessante testimonianza delle abitudini alimentari locali sviluppata in: 
Giorato S., “Il gnocco di Teolo”. Ricette e storie di un piatto antico, Comune di Teolo – Pro Loco 2001. Una sintesi della ricerca è comparsa con il titolo Sull’origine padovana del “macaron” in “Padova e il suo territorio”, 17 (2002), n. 99, p. 11-15. 
Il testo del Magagnò sugli gnocchi è anche riportato in  
Pasqualigo C., La lingua rustica padovana nei due poeti G.B. Maganza e Domenico Pittarini con cenni su alcuni dialetti morti e vivi e proverbi veneti raccolti, Verona 19082
Notizie sulla vita del Maganza, anche se non sempre attendibili, si trovano in: 
Ridolfi C., Le maraviglie dell’Arte, Venezia 1648. Ampie notizie anche in: 
Angiolgabriello di Santamaria [P. Calvi], Biblioteca e Storia di quegli scrittori così della città come del territorio di Vicenza…, V, Vicenza 1779, p. XIX-XXVIII. 
Bortolan D., G. B. Maganza seniore, Vicenza 1878, che si basa sulle fonti precedenti senza ricerche autonome. Più importante è lo studio: 
Franceschetti P., La famiglia e la patria del pittore e poeta rustico G. B. Maganza detto il Magagnò, Venezia 1928. 
Importanti regesti di documenti si trovano in: 
Magrini A., Memorie intorno alla vita e alle opere di Andrea Palladio, Padova 1845, e 
Morsolin B., Giangiorgio Trissino. Monografia d’un gentiluomo letterato del sec. XVI, Firenze 1894 (seconda ed. riveduta e ampliata).

Autori del ‘500

Per restare nel tema del cibo non si può tralasciare una menzione di  
Cornaro A., Scritti sulla vita sobria. Elogio e Lettere. Prima edizione critica a cura di M. Milani, Venezia Corbo e Fiore 1983, 
dato che la dimora di Alvise Cornaro in quel di Luvigliano, la superba villa edificata dal Falconetto, pare fosse proprio il luogo dove il protettore del Ruzante stese il famoso trattato. In una delle sue Lettere — dettata dai Monti Euganei alla bella età di 85 anni (morirà quasi centenario) egli si descrive sano et prosperoso tanto che a questa cosí solene alegrezza e festa ho potuto balare e cantarecome si vide, cosa che parve miracolosa imputando il miracolo alla continenza ed alla sobrietà di vita. In questa Lettera che scrisi sopra li retrati delle paluti che circondavano questi monti (XIX, p. 189-191) egli elogia l’intervento veneziano che ne bonificò le paludi e così li ha redoti a la loro prima belezza, che erano quando il divino Petrarcha deliberò di stanziarvi e morire. 
 
Lega il suo nome alla letteratura euganea anche Sperone Speroni per il suo Dialogo delle laudi del Cathaio, villa della S. Beatrice Pia degli Obici (vedi: 
Speroni S., Dialogo delle lodi del Catajo, in Opere, Venezia 1740 (scritto ancora quando non esisteva così come la conosciamo, ma esisteva la casuccia della signora Beatrice, madre di quel Pio Enea I al quale si deve il sontuoso edificio sorto velocemente tra il 1570 ed il 1572). 
 
Legata ai Colli è anche la bizzarra figura del fiorentino Anton Francesco Doni che venne infatti a morire in Monselice nel 1574 (come tre secoli prima accadde all’esule Guido Guinizzelli, padre dello Stilnovo). Il Doni — figura complessa del Rinascimento italiano – e autore della Zucca e dei Mondi ben poco offrì ai Colli nella sua opera ma ad essi rimase come legato per via della leggenda che lo descriveva uscir di notte dalla Rocca, divenuta sua dimora, quasi nudo e vistosamente barbuto, a declamare versi misurando a gran passi i prati intorno. 
Doni A. F., La zucca del Doni fiorentino (1551-1552), Venezia 1607. 
Doni A.F., Attavanta. Villa di M. Anton Francesco Doni fiorentino. Tratta dall’autografo conservato nel Museo Correr di Venezia (1557 ca.), Firenze 1857. 
La leggenda è anche alimentata da quella scritta “DONI”, incisa a mezzodì su di un geometrico concio della levigatissima parete. Egli ricompose proprio a Monselice l’ultimo dei 5 codici intitolati alle Ville e ora conservato nella Biblioteca Trivulziana di Milano. Il codice della Trivulziana, unico tra le tante redazioni, accoglie un’aggiunta poetico didascalica sull’arte di lavorare la terra nei diversi mesi dell’anno che, seppur derivata da una conoscenza antica, potrebbe essere stata confrontata con la vita rurale locale. Nell’aggiunta poetica al codice Trivulziano, il Doni inserisce lampi di pungente realismo: il “mal villan” è visto, alla moda del Ruzante, intento a “trafugare” quanto può, o mentre spreme uve primaticce strappate al vigneto del padrone da ricavare quel vino “agresto”, insopportabile ai palati delicati. Egli lo chiama “il ladron che di paglia ha il cappello”. Da segnalare come la stessa Visita Pastorale del 1571 richiami la residenza del Doni. Sull’argomento vedi: 
Pissinis F., Il codice trivulziano n. 15 e l’edizione delle “Ville” di A. F. Doni, “Istituto Lombardo di Scienze e Lettere (Rend. Lett.), 3 (1977), p. 199-206. 
Pissinis F., Il codice trivulziano n° 15 e l’edizione delle “Ville” di A.F. Doni, “Istituto Lombardo di Scienze e Lettere (Rend. Lett.)”, 111 (1977), p. 199-206. 
 
Sulla figura del Doni ritorna recentemente
Valandro R., L’eredità monseliciana di Anton Francesco Doni,  “Padova e il suo territorio”, 20 (2006), n. 119, p. 17-20. 
L’autore tratta della discussa ultima dimora del poligrafo fiorentino (viaggiatore irrequieto, editore, scrittore), Anton Francesco Doni (1513-1574) che ebbe una vita travagliata ed errabonda, e che fu molto discusso anche dai contemporanei per il costume libero e per il fatto che si era tolta la tonaca di frate servita, pur mantenendo l’abito pretesco. Tra le molte sue opere “Le Ville” o “Le cinque ville” in cui disserta su palazzi e case che nobili e popolani si costruivano lontano dalla città. Dei testi disponibili si conosce un’edizione a stampa del 1566 e tre manoscritti: l’ultimo e più importrante, datato primo aprile 1573, custodito nella Biblioteca Trivulziana diu Milano, è stato esemplato proprio a Monselice.  
Il codice della Trivulziana, accoglie, unico tra le redazioni note, un’aggiunta poetico-didascalica sull’arte di lavorare la terra nei diversi mesi dell’anno. Alcune immagini il Valandro le indica come tratte dalla vicinanza con la ruralità che tra pianura e colli s’incuneava fin nel cuore dell’ormai obsoleta rocca monseliciana.  
Le prime notizie del Doni abbiamo in:  
Sansovino Francesco, Cronaca universale del Mondo  (1581) dove dice che fatto vecchio il Doni si ritirò nella solitudine della villa, havendosi esso medesimo fabbricatosi un luogo di delizie a Monselice nel padovano per trattenimento della sua vita. 
Girolamo Giovannini, introducendo un’edizione della Zucca doniana nel 1589, offre alre note biografiche. Ad Alessandro Zilioli, autore dell’Historia delle vite de’ poeti italiani contenuta in un mss secentesco della Biblioteca Marciana, dobbiamo le curiosità e bizzarrie degli ultimi tempi, come annota il Salvatore Bongi, primo biografo mderno. 
Sul Doni si veda anche: 
Bertana Emilio (1860-1934) un letterato monseliciano insegnante e critico letterario impegnato a diffondere il verbo anarco-rivoluzionario, per un saggio intitolato Un socialista del Cinquecento. Appunti sulla vita e sugli scritti di Antonfrancesco Doni (1892) uno degli scritti che gli valse anche la libera docenza in lett. Italiana a Torino (1902). 
Pissini F., Il codice trivulziano n. 15 e l’edizione delle “Ville” di A. F. Doni, “Istituto lombardo di scienze e lettere (Rend. Lett)”, 3 (1977), p. 199-206. 
Giovannini G., La Zucca del Doni, Venezia 1589 
Zilioli A., Historia delle vite de’ poeti italiani, Venezia, Biblioteca Marciana, cod. marciano CXVII, classe XX. 
Delli Agostini G., Notizie istorico-critiche intorno la Vita e le Opere degli Scrittori Viniziani¸ Tomo I-II, Venezia 1752-54. 
Bellocchi, Le Ville di Anton Francesco Doni, Modena 1969cfr. Ricottin Marsili-Libelli C., Anton Francesco Doni scrittore e stampatore. Bibliografia delle opere e della critica e annali tipografici, Firenze 1960. 
 
Di un’inedita commedia ambientata nei Colli Euganei di Claudio Forzatè (nato intorno alla metà del secolo e morto nel 1597)  il cui testo si trova nella Biblioteca Civica di Padova (B.P. 2256) si occupa: 
Milani M., Una Pastorale sui Colli, “Padova e il suo territorio”, 9 (1994), n. 52, p. 18-19. La stessa autrice ritorna più diffusamente sull’argomento sul “Giornale storico della letteratura italiana” 164 (1987) e 167 (1990). 
Ancora un testo della fine del ‘500, un modesto poemetto — a giudizio del Baldan — che compose un certo Giulio padovano, pedestre e del tutto sprovveduto imitatore tardivo di Dante. Il povero resoconto di questa immaginaria incursione nell’oltretomba, iniziata con il penetrare in un cunicolo posto nei pressi della sorgente termale, interessa solo perché rappresenta il più sicuro indizio di tutta un’ampia messe di leggende locali a sfondo diabolico che, coinvolgendo in varia misura lo stesso personaggio di Pietro d’Abano, giungono a versarsi anche nell’opera goldoniana.

Autori del ‘600

Dell’insigne classicista padovano Giovanni Antonio Volpi (1686-1766) che tratta di un luogo ameno che Colli boscosi circondano d’ombre, dove florida abbonda la vite, dove si caccia la lepre e col vischio si adescano uccelli: 
Volpi G. A., Carminum libri quinque, Padova 1742, dal III libro Elegia VIII ad Mattheum Bordegatum, vv. 100-126. 
 
Altre opere del ‘600: 
Contarini Francesco, La finta Fiammetta, favola pastorale, Venezia 1610. La scena è ambientata nel colle euganeo di Arquà. 
Frigimelica Roberti G., Sonetto ai Bagni sulfurei d’Abano, in Epigrammi Italiani del Conte Girolamo Frigimelica, LXXXIX, Padova 1697.

Goldoni e autori del ‘700

Della commedia del Goldoni edita per conto dell’Azienda Autonoma di Cura: 
Goldoni C., I bagni di Abano, Abano Terme 1957, con introduzione di B. Brunelli Bonetti. 
Della commedia si occupa: 
Bettio F., “I bagni di Abano” di Carlo Goldoni, in Itinerari alle Terme, a cura di L. MarangonPadova 2002, una serie di brevi saggi pubblicati dall’IPSSAR Pietro d’Abano in collaborazione con il Lions Club Abano — Terme Euganee, p. 181-222. 
Rappresentata a Venezia durante il carnevale del 1753, in essa viene rievocata, mantenuta in tutto un clima di leggenda popolare o addirittura di vero e proprio folklore locale, la figura del celebre Pietro d’Abano. Tutta la trama dell’opera si snoda infatti all’insegna di un manuale magico, che si presume composto dallo “stregone” medievale, fortunosamente rintracciato dal protagonista, Monsieur La Flour, il quale se ne avvale per districare lietamente ogni garbuglio amoroso. 
 
Nel ‘700 abbiamo ancora: 
[Anonimo], Ad Elisa. Poemetto, poemetto in versi, pubblicato a Venezia nel 1798, e riprodotto in Fontana L., Valsanzibio, Cittadella 1990, p. 348-357. Rappresentazione letteraria del luogo, scritta in Valsanzibio sul principio di luglio del 1794 in occasione della visita in compagnia della nobildonna Contarina Barbariga. Nella Prefazione di Olinto Delfico si legge: … Vi è però negli Euganei un antico esteso Giardino, vago per la situazione, seducente per la sua disposizione, degno d’esser veduto ed ammirato, e che fa onore alla nobilissima Famiglia Barbarigo, che n’è la proprietaria. Esso e nella Valle di s. Eusebio, corrottamente Valsanzibio, vicinissimo al frequentemente visitato colle d’Arquà. Meritava per tanto questo Luogo, che un vivace Poeta ne formasse in versi la brillante pittura, onde col diletto d’una venusta Poesia si diffondesse a un tempo la singolarità d’un sì leggiadro Giardino…” 
Anonimo, Sopra il viaggio da Padova alle ville di Valsanzibio colla N. D. Contarina Barbarigo, (poemetto), Venezia 1817. 
Bettinelli S., Opere edite e inedite in prosa e in versi, VI, Venezia 1799, p. 40-180, contiene alcuni brani in forma di Dialogo che furono composti in occasione della piantagione di un alloro solennemente in Arquà dal sig. Cav. Zulian ristoratore della Casa del Petrarca con l’intervento di molti letterati, tra i quali l’abate Sibilliato professore d’eloquenza, che avrebbono ornata la festa coi loro componimenti e per l’occasione il Bettinelli compose questi Dialoghi tra Amore e il Petrarca. 
Capuzzi, I Bagni d’Abano o la forza delle prime impressioni, un melodramma in due atti su libretto del Sografi. 
 
Longo Giannantonio, I Colli Euganei, Venezia 1787 (altri due tomi ancora manoscritti sono conservati alla Biblioteca del Museo Civico di Padova):  
Longo G. Antonio,  I Colli Euganei, T. II e IIICartaceo in foglio di carte 129, della seconda metà dell’800, MSS BP 378. 
Sull’opera del Longo si veda: 
Lemin L., I Colli Euganei di Antonio Longo, “Padova e il suo territorio”,  20 (2005), n. 115, p. 35-37, che presenta l’opera incompiuta e in parte inedita, del veneziano Antonio Longo (1760-1825) che rappresentò il patrimonio mitico collegato ai Colli e che uscì in forma novellistica, edita postuma col titolo di “Gemme storiche intorno ai Colli Euganei”. 
L’autore è famoso per una Memorie della vita di A. Longo viniziano scritte e pubblicate da lui medesimo per umiltà, (1.a ed. 1814) che ci fornisce anche un quadro singolare di Venezia e del territorio veneto in una fase dinamica di trapasso tra regimi diversi. 
Sono rimaste, invece, inedite molte pagine dedicate ai Colli Euganei. E’ il caso di due opere: la prima s’intitola I Colli Euganei ed è divisa in tre tomi, di cui solo il primo fu pubblicato nel 1787 mentre gli altri due si conservano manoscritti nella Biblioteca Civica di Padova (B.P. 378); la seconda, già trascritta integralmente nelle Memorie dell’autore, ha avuto due pubblicazioni postume per cura dei discendenti del Longo (Gemme storiche intorno ai Colli Euganei di A. Longo veneziano, Este 1850 e Versi sui Colli Euganei, Este 1908). 
Il Longo espone per ogni Colle quel patrimonio leggendario e mitologico che egli cerca di utilizzare per determinare l’etimologia dei diversi nomi (le cui spiegazioni non hanno nulla di scientifico ma sono piuttosto ipotesi arbitrarie basate a orecchio sulla leggenda, per cui ad es. Vendevolo, deriverebbe dalla composizione di “Venda” monte di Venere, con “velo” che cadde alla dea mentre fuggiva inseguita da Marte). 
Di narrazione più accessibile, dove emerge anche il patrimonio delle leggende popolari è la seconda opera — Gemme storiche — nella forma di novella. La prima è dedicata ad Arquà, poi Gemola, nome che deriverebbe da “gemma” simbolo della purezza di Beatrice; la terza parla di Abano e della profezia dell’oracolo di Gerione che nel 46 a.C. predisse la vittoria di Cesare su Pompeo. Il quarto colle ricordato è Montagnone e la leggenda di Berta; poi si parla di Monteortone, il cui nome deriverebbe dal cavaliere greco Ortone, ovvero dal bagno ristretto ed angusto detto “arton; l’ultima è dedicata a Monterosso che fu il primo insediamento degli Euganei ad opera di Pallo, figlio del re cretese Teseo. 
 
Polcastro G., Frassinelle, in Opere, I, Padova 1832. Del lavoro poetico si occupa: 
Moro G., Il poemetto Frassinelle, o del “quasi volontario esiglio” di Girolamo Polcastro nel 1799, “Bollettino del Museo Civico di Padova”, 81 (1992), p. 375-389.

Angela Veronese (Aglaia Anassillide)

Un enfant prodige, Angela Veronese, figlia del popolo nata nel 1779 e accolta nei circoli letterari 
[Veronese A.], Versi di Aglaia Anassillide aggiuntevi le notizie della sua vita scritta da lei medesima, Padova 1826, un irriverente schizzo di Monte Rua e una descrizione delle terme in bilico tra le due immagini dei Colli: ambiente aspro e ostile o Arcadia di boschi e pastorelli.  
Ecco il brano tratto dalla sua autobiografia sopracitata (p. 72-73): 
Passai tutta quella stagione ospite della Clementina Caldarini sui Colli Euganei nella villa di Torreggia, vicina al monte Rua, pve vivevano ancora alcuni Camaldolesi obbliati non so se dai viventi, o dalla morte. Nei tempi andati la loro clausura sull’articolo Donne era rigorosissima; ma allora che io mi portai a vedere quella sacra solitudine, era permesso di andarvi ad ogni persona. Mi feci portare fino alla metà della strada da una vecchia somarella, che mi fece ricordare quella dell’antico Balaam; tanto era restia, poltrona, e loquace nel suo linguaggio, che io non avea la fortuna d’intendere come il profeta. Giunsi stanca in cima al benedetto Rua, e fui tosto graziata da quei poveri anacoreti di alcune frutta secche avanzate ai tarli ed ai topi, e di una torta di erbe così amare che mi avvelenarono la bocca. Fui a vedere il convento, e la chiesa che non mi dispiacque, benchè privo l’uno d’abitatori, l’altro d’adoratori. Quello che mi andò estremamente al cuore fu il sempreverde bosco d’abeti, che coronava la cima del monte, e racchiudeva nel suo ombroso recinto il solitario convento. Mi ricordai il caro bosco del Montello, e discesi dalla Certosa di mal umore, come l’asinella che mi riportò sulla logora sua groppa al piano di Torreggia. 
Nel ritorno che feci dai Colli Euganei a Pontelongo mi fermai ad ammirare le famose Terme Aponenis. E’ stato tanto detto in prosa e in verso, in verso ed in prosa sulla singolarità di queste acque che diviene inutile ogni mia relazione. Dirò solamente, che mi parve di vedere i bollenti stagni di Acheronte, prlando poeticamente; e, parlando, fuori di poesia, mi parve di essere in un paese abbandonato dalla misericordia divina, come una seconda Sodoma. Il calore, l’odor sulfureo, e la sterilità della nuova Dite mi fecero partire senza far ulteriori osservazioni su quell’infernale paese. 
Della sua vicenda, nata da padre giardiniere a Biadene in riva al Piave, poi istruita da un villano gran lettore di romanzi eroici, trasferita a Padova e via via divenuta una sorta di Saffo campestre con frequentazioni illustri come il Cesarotti, Barbieri e il Foscolo (dandoci un vivo ritratto per i suoi capelli rossi, tondati come quelli di uno schiavo… e per le sue labbra grosse, come quelle di un etiope, si occupa: 
Tommaseo N.,  Aglaja Anassilide, in Antologia femminile, 1 (1840), p. 243-256.

Foscolo e Cesarotti

Passano i secoli e nasce nello sguardo una cultura nuova disponibile ad una esperienza meramente estetica; o, in altro senso, che trasferisce sul mondo un moto interiore. Nasce così il paesaggio del romanticismo, cioè un vedere il mondo cui s’aggiunge – come un plusvalore proveniente dall’interiorità – una emozione estetica ed etica che trasfigura le cose rendendole, appunto, paesaggi dell’anima. Basti pensare alla trasfigurazione dei luoghi che avviene nella descrizione foscoliana della salita al Venda in cui egli si vede accerchiato da una catena di colli su i quali ondeggiano le messi, e si scuotono le viti sostenute in ricchi festoni dagli ulivi e dagli olmi: le balze e i gioghi lontani van sempre crescendo come se gli uni fossero imposti sugli altri. Per Shelley i Colli divengono il luogo simbolico di una vita paradisiaca, sciolta dal male e dal dolore – dove egli con l’amico Byron percorreva a cavallo attraverso le vigne rosse e d’oro, che con filari allineati penetrano la ruvida boscaglia, oscuramente orlata – cosa che assolutamente non sono, specie nel periodo in cui egli vi risiede, come ad esempio abbiamo testimonianza in qualche passaggio dell’abate Dianin in cui si parla dei colli infortunati, colpiti, specie in quei primi anni dell’800, da carestie e calamità naturali. 
A fare da battistrada nel pellegrinaggio romantico si fa avanti Vittorio Alfieri che, nel visitare la casa d’Arquà, consegnerà alla parete tre versi del suo celebre Sonetto a Petrarca (riportato anche di Padov , i secoli, le ore, (a cura di) D. Valeri, Bologna [1967]. Particolarmente importante perché con esso il mito romantico del culto del Petrarca trova la sua data d’origine con quella visita del giugno del 1783, quando l’Alfieri entrato nella “cameretta che ospitò quel genio” e si lasciò trasportare dalle lacrime.  
 
Sulla famose pagine del Foscolo dedicate agli Euganei, tratte da Le Ultime lettere di Jacopo Ortis, si veda: 
Gaudenzio L., Il “romitaggio” del Foscolo nei Colli Euganei, “Quaderni dell’Azienda di cura di Abano Terme” 1, Abano Terme 1979. 
Scorzon E., Il Foscolo tra i Colli Euganei, “Le Venezie e l’Italia”, 13 (1974), n. 3-4,p. 42-46. 
Sulla figura del Foscolo e in virtù del suo legame con i Colli Euganei nel 1979 il Comune di Abano Terme dedicò alla figura del Foscolo un convegno: 
Per Ugo Foscolo. Atti del Convegno nel bicentenario della nascita, Abano Terme 28 gennaio 1979, a cura di B. Francisci con relazioni di Enzo Mandruzzato (Foscolo e la giovinezza del Romanticismo e Un ritrovato manoscritto del Foscolo e di Andrea Zanzotto, Ugo Foscolo oggi), Abano Terme 1981. 
Lazzarini L., Un itinerario foscoliano negli Euganei, in “Padova e il suo territorio”, 9 (1994), n. 52, p. 20-21. 
Molteplici sono le ambientazione euganee nell’Ortis tanto che il libro può essere indicato come uno degli iniziatori della predilezione romantica per la residenza petrarchesca in Arquà. I brani del Foscolo non rispettano quella precisione topografica e si presentano come una trasfigurazione poetica del mondo reale, ridandoci piuttosto delle atmosfere di gusto ossianico. 
 
Chi aveva diffuso in Italia traducendoli i poemi del presunto antico bardo scozzese, era Melchiorre Cesarotti che i Colli Euganei li aveva ogni giorno davanti agli occhi, almeno durante i suoi prolungati soggiorni nella villa di Selvazzano. Il giovane Foscolo lo aveva seguito alla Università di Padova, ascoltandone le lezioni e allacciando con lui un cordiale rapporto di confidenza e d’affetto. Il Cesarotti era anche molto amico dei monaci di Praglia ai quali dedicò un’amabile poesia: 
Cesarotti M., Praglia, in M. Caffi, Poesia vernacola inedita di Melchiorre Cesarotti – Cenni sull’autore dettati da don Angelo Zendrini, “Archivio Veneto” 36 (1888), p. 141-154. Un elegio scherzoso rivolto ai monaci e letto in una serata conviviale (nell’ultimo decennio del sec. XVIII) e conservato manoscritto nella Biblioteca Civica di Padova. 
Del Cesarotti e delle sue frequentazioni locali si occupa: 
Gallo V., Cesarotti da Padova a Selvazzano, Provincia di Padova, 2008, che tratta, appunto, della predilezione che il Cesarotti ebbe negli ultimi anni della sua vita di appartarsi nella dimora che la famiglia possedeva a Selvazzano, da cui poteva raggiungere agevolmente il monastero di Praglia e gli amici monaci ai quali dedicò i versi sopraindicati. Nell’occasione del secondo centenario della nascita la rivista “Padova e il suo territorio”, 23 (2008), n. 135, ottobre 2008, ha dedicato un numero monografico all’illustre letterato padovano. 
 
Ancora circa vent’anni dopo la sua morte, il nobile adriese Arrigo Bocchi nei suoi itinerari euganei (poi descritti in Alcuni giorni ai Colli Euganei, Venezia, 1830) ritenne doveroso recarsi appositamente a visitare la villa appartenuta al celebre abate e non nascose l’indignazione nel trovarla nel più vergognoso abbandono.

Giuseppe Barbieri

L’abate Giuseppe Barbieri di Bassanoallievo e successore alla cattedra del Cesarotti, inaugurò una nuova torrentizia produzione letteraria avente per oggetto i Colli Euganei. A lui si deve, tra l’altro, la trasformazione della graziosa piccola Torreglia in una sorta di capitale culturale dell’acrocoro euganeo, così da insidiare il primato di Arquà. 
Barbieri Giuseppe, I Colli Euganei. Poemetto, Padova 1806. 
Barbieri G., I bagni di S. Elena. Versi per le faustissime nozze Cromer-Meneghini, Padova 1819 
Barbieri Giuseppe, Veglie Tauriliane, Padova 1821. 
Barbieri G., Le Stagioni. Poema, in Opere, Padova 1823. 
Barbieri G., Valsanzibio. Epistola al conte Antonio Martinengo, Padova 1847. 
Sui lavori letterari del Barbieri, si veda: 
Zaccaria V., Sui poemetti giovanili dell’abate Giuseppe Barbieri (con lettere inedite di Cesarotti Barbieri e Bettinelli), “Atti e Memorie dell’Accademia Patavina di SS.LL.AA., Classe di Scienze Morali Lettere ed Arti87 (1974-75), p.te III, p. 269-295. 
Contengono riferimenti al territorio collinare anche: 
Barbieri G., Orazioni Quaresimali ed altre nuove opere, Milano, Vallardi, 1836-37. 
 
Vedi anche la voce Barbieri nel capitolo dedicato alle biografie.

Tommaseo e altri

l Barbieri ebbe il merito di avvicinare ai Colli il Tommaseo. Questi esordì proprio con un carme latino, Tauriliae descriptio Carmen, che ideato, per esplicita sua ammissione, dopo una sua visita alla villa in Torreglia del Barbieri, fu da quest’ultimo inserito nella prima edizione delle Veglie del 1821 (p. 201-205). Dei rapporti tra i due e della polemica conseguente alla pubblicazione del carme, si occupa: 
Zaccaria V., L’accademico Giuseppe Barbieri e il Tommaseo, “Atti e Memorie dell’Accademia Galileiana di Scienze Lettere ed Arti in Padova già dei Ricovrati e Patavina, Classe di scienze morali lettere ed arti”, 113 (2000-2001), p.te III, p. 21-50. 
 
Ancora sulla presenza di Niccolò Tommaseo a Padova e alla sua amicizia con il Barbieri: 
Pecoraio M., La formazione letteraria del Tommaseo a Padova, in Niccolò Tommaseo nel centenario della morte, a cura di V. Branca e G. Petrocchi, Firenze, 1977. 
Ghetti M. C., L’Università di Padova ai tempi del Tommaseo, in Di tutte le leggi giuste sapremo mantenerci osservanti. Atti della Giornata di studi per il Bicentenario della nascita di Niccolò Tommaseo. Venezia 29 novembre 2002, a cura di T. Agostini e M. Gottardi, Venezia, “Ateneo Veneto. Rivista di Scienze, Lettere ed arti”, 2004, p. 11-25. 
Solitro G., Un insigne scolaro dell’Università di Padova. I primi passi di Niccolò Tommaseo (con documenti inediti), estr. da “Memorie della R. Accademia di Scienze lettere ed arti in Padova”, 57 (1940-41). 
Ciampini R., Vita di Niccolò Tommaseo, Firenze, Sansoni, 1945. 
Zaccaria V., Il giovane Tommaseo a Padova, “Padova e il suo territorio”, 4 (1986), p. 28-31. 
 
Così circa vent’anni dopo, nel romanzo Fede e bellezza, il paesaggio di Arquà fa una rapida comparsa in una delle ultime concitate notti di Maria tormentata dalle febbri (p. 163-164 dell’edizione veneziana del 1840): …E gli allori della tomba d’Arquà? L’ho veduta io. Come bello il grande avvallar di quei Colli, che Dio destinava a consolazione d’un’anima pentita! Più corposo il suo intervento nel 1845 per cura degli editori del “Giornale Euganeo” U. Crescini e G. Stefani) con il titolo: I Colli Euganei – Illustrazioni storico-artistiche. Tra i vari collaboratori sono da segnalare, per quanto attiene ai contributi letterari, anche Luigi Carrer, Francesco Dall’Ongaro e Giovanni Prati. Il volumetto, offerto come “strenna” del giornale, apre appunto con un brano del Tommaseo su Arquà (p. 11-16). 
Il Dall’Ongaro partecipava al volume miscellaneo con un sonetto dedicato al Petrarca; Luigi Carrer, invece, si cimentava con un abbozzo di poemetto intitolato I Colli Euganei. Concludeva la poetica crestomazia un sonetto di Giovanni Prati dedicato, stavolta, alla leggendaria Speronella rapita dal feroce vicario imperiale Pagano e rinchiusa nella rocca di Pendice sino alla sollevazione popolare che liberò, con lei, la città di Padova.  
Dall’Ongaro F., La tomba di Arquà, in Ricordi sui Colli Euganei. Illustrazioni storico-artistiche… Strenna del Giornale Euganeo, Padova 1846, p. 167. 
Carrer L., I Colli Euganei — Frammento, in Ricordi sui Colli Euganei. Illustrazioni storico-artistiche… Strenna del Giornale Euganeo, Padova 1846, p. 168-169. 
Crescini J., Ad Ugo Foscolo, in Ricordi sui Colli Euganei. Illustrazioni storico-artistiche… Strenna del Giornale Euganeo, Padova 1846, p. 170-179, poemetto di cui si segnala la parte terza: Torreglia
Prati G., Speronella, in Ricordi sui Colli Euganei. Illustrazioni storico-artistiche… Strenna del Giornale Euganeo, Padova 1846, p. 180, una breve lirica dedicata a Speronella dallo storico e poeta romantico che visse anche a Padova. 
Il Prati (1814-1884), già studente all’Università di Padova, era stato presente in città nei giorni del ’48 e rinchiuso nelle carceri politiche di San Matteo. 
 
Dall’Ongaro F., Il Venerdì Santo. Scena della vita di Lord Byron. Canto, Padova 1837. 
Cavalli G., Speronella, “Padova e la sua provincia”, 16 (1970), n.s., n. 6, p. 15-18. 
Prati G., Speronella, “Padova e la sua provincia”, 16 (1970), n.s., n. 6, p. 18. Il Prati dedicò un altro sonetto ai Colli Euganei: 
Prati G., Ai colli Euganei, in Passeggiate solitarieNuove poesie, Padova 1847, p. 38. 
 
Tornando al Tommaseo, prendendo spunto dai meriti del Conte Carlo Leoni che si era preoccupato del restauro della tomba del poeta ad Arquà, egli procede ad una testimonianza visiva del paesaggio euganeo che per la spontaneità assomiglia ad una pittura en plein air: 
Tommaseo N., Arquà, in Bellezza e Civiltà, o delle Arti del Bello sensibile, p.te III: Gite, Firenze 1857, p. 359-364. 
Sull’opera del Tommaseo dedicata ai Colli vedi anche: 
Biasuz G., Padova e gli Euganei nel ricordo del Tommaseo, “Abano Terme. Notiziario dell’Azienda di Cura”, 4 (1952), n. 6, n. n.

Shelley e Byron

Nell’autunno del 1818 (come, del resto, in quello precedente) Lord Byron soggiornava nella villa ora Kunkler di Este, quando accolse presso di sé Shelley che, nelle poche settimane che durò l’amabile ospitalità, non solo iniziò il suo Prometeo liberato e compose il poemetto Giuliano e Maddalo, ma lasciò mirabilmente fluire quei Versi scritti fra i Colli Euganei, un’intera giornata, dall’alba al tramonto, che il poeta immagina di padroneggiare dall’alto del suo romito osservatorio euganeo: 
La connotazione di isola per i Colli Euganei è molto frequente nella letteratura locale. La sua formulazione più illustre si deve probabilmente a Shelley P.B. I brani dedicati ai Colli dal poeta inglese sono due: 
1. il primo è tratto da Julian and Maddalo — tra l’altro composto ad Este, insieme all’altro capolavoro del Romanticismo europeo come Prometheus Unbound — dove il poeta ci propone la nota visione dei colli visti da Venezia, paragonandoli ad un arcipelago di isolotti perduti in mezzo al mare della pianura. 
2. La seconda composizione è un poemetto — Versi scritti fra i Colli Euganei composti nell’ottobre del 1818 – i Colli sono colti nel momento magico dell’autunno, quando essi divengono addirittura simbolo di una vita paradisiaca, liberata dal male, dal dolore e dalle invidie umane. 
 
Sul poeta inglese si veda: 
Hickey B., Percy Bysshe Shelley e l’unità d’ispirazione nei suoi poemi euganei, “Padova e la sua provincia”, 17 (1971), n.s., n. 1, p. 23-26. 
Rento B., Shelley e i Colli Euganei, “Padova”, 1955, n. 7/8, p. 18 sgg. 
P.B. Shelley ad Este (da “Lines Written among the Euganean hills”, “Padova”, 1931, n. 6, p. 21 sgg. 
Asti F., Versi scritti fra i Colli Euganei da P. B. Shelley, “Città di Padova. Rivista del Comune”, 4 (1964), n. 11/12, p. 37 sgg. 
Della composizione esiste anche una versione di Gaetano Sartori Borotto:  
Versi scritti fra i Monti Euganei di P.B. Shelley, Versione di G. Sartori Borotto, Este 1907. 
Per ricostruire il viaggio di Shelley dalla Toscana al Veneto ed il soggiorno estense si veda: 
Shelley P. B., Morire in Italia. Lettere 1818-1822, Milano 1992 e anche 
Shelley P. B., Opere, Torino 1995, edizione tradotta e annotata da Francesco Rognoni con ricco apparato di note, tra le quali quella relativa all’escursione sul Venda. 
 
Di Lord Byron visitò Arquà nell’aprile del 1817 (come si evince dalle sue notazioni contenute in Letters and journals, London 1981, 5, 1816-1817, p. 217) tovando nella visita ispirazione per il canto IV de Il pellegrinaggio del giovane Aroldo, Firenze 1874, p. 372-375. Il brano è anche riportato in: 
Byron G., Arquà Petrarca , da Childe Harold, “Padova” 6 (1932), n. 2, p. 17.

Autori dell’800

Bocchi A., Alcuni giorni ai Colli Euganei, Venezia 1830. 
Casa (La) e il sepolcro del Petrarca in Arquà, Venezia 1827, dove sono raccolte alcune poesie che si leggevano sulle pareti interne e sui codici conservati dallo zelante arciprete di Arquà; si riporta il Sonetto di Vittorio Alfieri, brani del Cesarotti, di Felice Dianin e molti altri. 
Busato L., Momenti vari, Padova 1896, raccolta di poesie che contiene Dal Sasso di Pendice presso Arquà, p. 11. 
Cabianca Jacopo, Giovani Tonesio, racconto, In Livorno, presso l’Emporio Librario, 1846, che narra la vita di uno studente a Padova con molti riferimenti ai Colli Euganei (lo stesso autore fu tra i collaboratori del foglio “Caffè Pedrocchi” che si pubblicò settimanalmente a Padova tra il 1846 e il 1848). 
Coletti D., Carme storicoEste,  in Nuvolato G., Storia di Este e del suo territorio, Este 1851-53, p. 523-531 che canta le glorie di Ateste, quando ancora Roma non era e Non dispiegava ancor la formidata / Aquila il volo, e degli Euganei figlia / Surta era Ateste
Dal Pian G., Le Frassanelle Idillio in occasione delle nozze solenni del conte Andrea Cittadella Vigodarzere Ciambellano di S.M.I. e della contessina Maria Arpalice Papafava Antonini de’ Carraresi, Padova 1839. 
De Lazara N., Le Frassanelle e Saonara, per le nozze del conte Andrea Cittadella Vigodarzere colla contessa Arpalice Papafava Antonini dei Carraresi, Padova 1839. 
Lanza M., Cose del cuore. Scritti pel capo d’anno, Venezia 1848, si parla di Arquà a p. 5-14. 
Longo A.., Gemme storiche intorno ai Colli Euganei, Este 1850, si tratta di versi e alcune notizie (su Arquà, Gemola, Abano, Montagnone, Monte Ortone, Rua e Monterosso) pubblicate dal figlio dell’autore, Gaetano Longo, che rivolgendosi al lettore dice di averle tratte dal capitolo LXXXI delle Memorie della vita di Antonio Longo viniziano scritte e pubblicate per umiltà…, Venezia 18202 del padre Antonio (1750-1825), avventuriero, avvocato e notaio. Lo stesso testo introdotto da alcune note biografiche su Antonio Longo è riportato in un opuscolo stampato per Nozze Longo Vignola, Este 1908. 
Occioni-Bonaffons G., Tre giorni fra i Colli Euganei. Ricordi del settembre 1869, Udine 1870. 
Parodi P., Fiori d’Italia. Sonetti, Genova 1847, a p. 52: Arquà. 
Piacentini D., Sonetto scritto nella Stanza del Petrarca in Arquà il 26 marzo 1842Per nozze Giustiniani — Scopoli, Padova 1842. Ecco il sonetto: 
Salve, spirto gentile, arpa d’amore, 
Che a meta sì sublime il volo alzasti, 
E qui alfin restringesti all’ultim’ore 
Dentro sì breve stanza i pensier vasti! 
 
Forse or nel bacio del divin Fattore 
Te bea la gioja che quaggiù sognasti, 
Quando l’etere immenso e il picciol fiore 
Nel sorriso dell’alma interrogasti. 
 
Salve o beato! Di te parla il rio, 
Di te cantano l’aure in questo colle, 
E s’inspira a quel canto il verso mio. 
 
Riverente io mi prostro a queste zolle 
Che tu calcasti, e benedico Dio 
Che a tanta luce l’uman fango estolle. 
 
Pimbiolo degli Engelfreddi F., De villula Tauriliae ad fratrem, (carme elegiaco tradotto in versi sciolti da G. Crescini), Padova 1819. 
Pochini A., Galzignano. Stanze, Parma 1805, dove dipingendo il delizioso luogo di villeggiatura nei Colli Euganei e illustrando il suo modo di vivere, vuole lusingare l’amico a seguirlo. 
Polcastro G., Opere, Padova 1832, il vol. 1° contiene un Sonetto Alla casa del Petrarca in Arquà
Angelo Saggini (1852-1903), sindaco a Galzignano, fortemente preso dagli Euganei tanto che vi dedicò alcuni versi in un suo componimento: 
Saggini A., Mendica in villa, per nozze Medin — Brunelli Bonetti, Padova 1887. 
Sartori Borotto G., Ai Colli Euganei. Ballate, “Isidoro Alessi. Rivista estense di storia lettere ed arti”, 1 (1895), n. 3, p. 19. (BP 1851/XX) 
Zorzi P., Cecilia di Baone ossia la Marca Trevigiana al finire del Medio Evo, Venezia 1852.

Fogazzaro e altri autori di fine ‘800

Una gustosa rappresentazione di Arquà – che osserva il costume dei contadini, descrive il pranzo a base di vino e pollo, racconta del sonnellino pomeridiano del Parroco – abbiamo nel racconto di taglio realista del romanziere americano Howells (1837-1920) che fu console a Venezia dal 1860 al 1865: 
Howells W. D., Pellegrinaggio alla casa del Petrarca in Arquà, riportato in “Padova”, 3 (1957), n. 4/5, p. 3-13, con nota introduttiva e versione dall’originale di G. Vaccari. 
 
Giosuè Carducci giunse ad Arquà, accompagnato dall’Aleardi, per celebrare con un solenne discorso il quinto centenario della morte del grande poeta. Il discorso fu ispirato dalla fiera e risonante retorica del tempo; solo verso la fine il Carducci si ricordò anche dei nostri Colli: 
 
Dormi, dormi, o poeta, in questo lembo della sacra penisola, dove le memorie antichissime si congiungono alle glorie nuove … qui tra questi colli miti e sereni e pure alti, come la tua poesia, come l’anima tua, altri posteri verranno in altri tempi a onorare il tuo nome e la tua tomba: e saranno per avventura più felici e più forti che noi non siamo.  Imperocché la tua Italia, o Francesco Petrarca promovendo, difendendo, estendendo in tutto e per tutto la ííbertà, si farà sempre più degna di te, e de’ suoi grandi maggiori” (Carducci G., Opere, Edizione Nazionale, Bologna 1941-1958, vol. VIIpp. 354-355). 
Sull’argomento si veda : 
Aliprandi G., Il Carducci a Padova, “Padova” 3 (1957), n. 1, p. 18-24. 
 
Qualche riga ai Colli Euganei dedica anche l’Aleardi nel suo Epistolario: 
Senti una cosa. Anch’io ti ò vista passando di volo per mezzo ei colli Euganei. Mentre salutavo P… io ti vidi che camminavi ora sulla cima di un colle, ora sulla pendice. Sorgeva il sole dal mare Adriatico e indorava il tuo vestito di perla, e tu ti abbassavi tratto tratto a coglier fiori, e i tuoi cani grossi ti venivano seguendo come guardia fida. Sulle prime t’ò creduto un serafino mandato a far qualche visita quaggiù, ma poi, guardando bene, ò visto che eri proprio tu. (Aleardi A., Epistolario, con una introduzione di G. Trezza, Verona-Padova 1879, p. 274). 
Nella missiva, egli si rivolge alla figlia sedicenne di un’amica verso la quale si esprime con parole accese dalla bellezza della giovane. Come si spiega il richiamo ai Colli Euganei ? Nelle righe precedenti egli paragona la bellezza della giovane alla bellezza figure femminili del Beato Angelico. Non è possibile che egli — come vuole la tradizione — non abbia mai rivolto lo sguardo al volto di una donna, perché la donna è il più bel fiore che Dio abbia creato — fatto per ultimo come per ultimo si mette nella collana la perla più preziosa — e io non credo a questa folle modestia, anzi giurerei che proprio te ha visto e te ha copiato come modello per  le sue immagini.  
Sotteso, dunque, questo comparire nel paesaggio di figure femminili: da un lato negli affreschi del grande pittore, dall’altro nello sguardo dell’autore che coglie fuggevolmente la giovane donna sullo sfondo dei Colli Euganei. Ed è lo sfondo che noi dobbiamo portare a superfice: come l’Angelico, qui l’Aleardi, proprio mentre tesse la lode della bellezza lirica della ragazza, coglie insieme lo sfondo collinare che, come nei paesaggi gotici del fiorentino, costituisce il miglior sfondo in cui la figura femminile si fa figura e acquisisce il pregio della propria consistenza e bellezza stessa. 
 
A distanza di quasi mezzo secolo ugualmente impegnato in un discorso davanti a una tomba, troviamo Gabriele D’Annunzio, nel cimitero di Montegrotto, il 6.10.1918, per l’ultimo addio a Gino Allegri, il compagno di tanti arditi voli tra cui quello spettacolare su Vienna, schiantatosi con il suo aereo sulla Montecchia di Battaglia mentre stava rientrando a S. Pelagio. Nell’elogio funebre dello sfortunato aviatore — dal nomignolo di Fra’ Ginepro — il Vate fa qualche riferimento ai Colli: 
 
Tutto il cielo mattutino inarcato in gloria tra i Colli Euganei e questo tumulo di ghirlande, tutto il cielo ha stamane per noi il colore dei suoi occhi, ha la purità del suo sguardo [… I vittoriosamente tornava dal cielo combattuto; e s’è schiacciato invano contro la terra che gli era madre, invano s’è annientato nell’erba che gli era sorella.  Italiano, stampa netta d’Italiano, nome tutto italiano, su terra squisita d’Italia, in religione intera d’Italia: Gino Allegri! Ed erano testimoni le più pure forme d’italiani colli, questi medesimi che celebrano con noi questo rito: gli Euganei” (D’Annunzio G., I mistici della guerra, Morte di Fra Ginepro, Venezia, 1948). 
 
In alcune pagine dannunziane i Colli sono visti da lontano, quasi irreali e partecipi di un immaginario che li collega ancora una volta al mito di Arquà. I passi sono tratti da: 
D’Annunzio G., Il Fuoco, Milano 1977. 
 
Esercizio accademico e stucchevole — a giudizio del Baldan — sono i versi settenari del Rettore dell’Università di Padova Giacomo Zanella che si ispirò ai ruderi del convento degli Olivetani  
Zanella G., Sulle rovine di un antico convento nei colli Euganei., Firenze Le Monnier 1927, alla Civica: Nozze Thiene — Da Schio, Padova 1869. 
 
Sulla frequentazione e sui legami dello scrittore vicentino Antonio Fogazzaro con Praglia, si veda: 
Marussi V., Padova nella vita e nell’opera di Fogazzaro, in “Padova” 11 (1938), n. 12, p. 32-40. 
Peschechera V., Fogazzaro a Praglia, “Labor”, 16 (1975), luglio-settembre (estratto). 
Peschechera V., Il fondo Fogazzaro della biblioteca teologica di Praglia. Parte prima: i volumi francesi, “Cenobio”, 20 (1971), p. 227-238; Parte seconda: i volumi inglesi, 21 (1972), p. 3-14; Parte terza: i volumi tedeschi, 23 (1974), p. 270-279. 
I brani dedicati ai Colli in Fogazzaro sono due: 
1) è ambientato a Frassanelle il lungo racconto dal titolo Un’idea di Ermes Torranza, in 
Fogazzaro A., Fedele e altri racconti, Milano 1887; 
2) la seconda è la famosa visita del protagonista del romanzo — Maironi — al Monastero di Praglia, in: Fogazzaro A., Nel Monastero, in Piccolo Mondo Moderno, Milano 1916.

Il ‘900 Acquaviva – Comisso

Il sociologo Acquaviva  nello scenario dei Colli di fine Cinquecento ambientò molte pagine del suo romanzo storico: 
Acquaviva S. S., La ragazza del Ghetto, Milano 1996. 
 
Alcune pubblicazioni dell’operatore culturale e giornalista Bruno Agrimi
Agrimi B., Incontro con Bruno Agrimi, Abano Terme 1965. 
Agrimi B., Contame i to potaci, Abano Terme 1968. 
Agrimi B., Riso grigio, Monselice 1970. 
Agrimi B., Poesie, Abano Terme 1966. 
Agrimi B. — Organo G., Il decatermone, ovvero il decameron dell’euganee terme, ovvero raccolta di 10×10 dialoghi ameni, malriveduti, scorretti, strapazzati e presi a calci, Abano Terme 1969. 
Agrimi B., L’Euganeo… di tutto un po’, Vigodarzere 1998 (Una guida-vocabolario a 360°). 
 
Alessi G., Le Poesie, A cura di I. De Luca e V. Zaccaria, Milano 1986. 
Molte sono ambientate nei Colli (“Torreglia”, “Da Taparo”, “Grandine a Castelnuovo”) quelle della raccolta: Alessi G., La crosta del pane, Padova 1957. Il volume contiene anche un lavoro in prosa che s’intitola Invito ai Colli Euganei. Quest’ultimo fu anche edito autonomamente con disegni di Mario Disertori: 
Alessi G., Invito ai Colli Euganei, Padova 1957 (Quaderni padovani). Riedito anche nel 1959 nella Collana Euganea. 
 
Di Giorgio Bassani dedicato a Monselice: 
Bassani G., Monselice, in L’alba ai vetri — Poesie 1942-50, Torino 1963 e riportati in “Di pensier in pensier…”, p. 110-111. Composta nel 1942 ora anche nel volume In rima e senza, Milano, 1982, p. 39. 
 
Bordignon E., Pellegrinaggi, Padova s.d., contiene poesie su Pendice, Torreglia, Abano, Arquà, Praglia, Rua. 
Bolzonella M., Calore e poesia di settembre sui Colli Euganei, “Città di Padova. Rivista del Comune”, 3 (1963), n. 4, p. 32-34 
Bresci Amerigo, La Badia di Praglia, Prato 1948, (poemetto). 
Brunelli B., Poesia degli Euganei, “Le Tre Venezie”, 19 (1944), n. 4-6. 
 
Dino Buzzati ambienta un suo curioso servizio per la terza pagina del “Corriere della sera” nella villa Olcese già dei Vescovi di Luvigliano che possiamo assumere come una novella tipicamente buzzatiana (con il titolo Festa in villa col mago si legge ora in Buzzati D., Cronache terrestri, a cura di D. PorzioMilano, 1972).  
Buzzati D., I gatti vulcanici, in I miracoli di Val Morel, Milano 1971 e 
Buzzati D., Festa in villa col mago, in Cromache terrestri, Milano 1972 e riportati in Di pensier in pensier, p. 106-110. 
 
Carturan C., Fior di calicanto. Romanza per canto e piano, Padova s.d. (dopo il 1901). 
Cavazzini Brunetta Maria, La Badia di Praglia e Le campane di Praglia, in “Abano Terme. Notiziario dell’Azienda di Cura”, 7 (1955), p. 18-19, n. num. 
Celona A., Luigi Gaudenzio pubblica due liriche (sonetti) di Antonino Celona prefetto di Padova stese nella forma tradizionale del sonetto in visita a Praglia riportate in “Abano Terme. Notiziario dell’Azienda di Cura” 7 (1955), n. 4, aprile 1955, n.n. 
Cerreta F., La Tombaide: alcune rime inedite sur un pellegrinaggio petrarchesco ad Arquà, “Italica”, sept. 1958. 
Cibotto G. A., Viaggio quasi sentimentale con alcuni libri in tasca in Bruno G., Colli Euganei. Il canto e il silenzio, testi di L. Puppi e G. A. Cibotto, Cittadella 1989, p. 146-153. 
 
In Giovanni Comisso i due sono brani dedicati ai Colli. Nel primo la percezione del paesaggio è contaminata da memorie esotiche; nel secondo l’attenzione si sposta sul soggiorno dell’arciduca Ferdinando nella sua tenuta padovana del Catajo che egli aveva ereditato, con altri beni, dal Duca di Modena e dove egli si fermò prima di partire per Sarajevo. 
Comisso G., Sorprese sui Colli Euganei, “Illustrazione Italiana”, genn. 1956, anche in: 
Comisso G., Veneto Felice, itinerari e racconti, a cura di N. Naldini, Milano 1984.

Il ‘900 Contran – Piovene

Contran A., L’archibugio del Cappellano. Storie curiose di preti, Padova 2001, un opuscolo uscito in supplemento alla “Difesa del Popolo”. Molti racconti del sacerdote che fu per molti anni direttore del periodico diocesano sono ambientati nei Colli Euganei. 
 
Daniele Toffanin M. L., Per Colli e cieli insieme mia Euganea Terra, Ente Parco Regionale dei Colli Euganei 2002. 
Degiorgi R., Nella Badia di Praglia; Musa randagia; Al pozzo del Cenobio dei Camaldolesi di Monte RuaLiriche, “Gazzetta del Veneto” 2 (1953), n. 33. 
Faccioli C., Soto la losa. Cronica atestina delle cose occorrenti nell’anno di disgratia 1913. Este 1913 (un testo tetrale). 
 
Del poeta di Monselice Rino Ferrari la cui poesia è tutta incentrata a cantare la propria terra —La mia terra non l’amo  
ma l’adoro –  dice un suo verso: 
Perduta terra [in collaborazione con R. Valandro, Parma 1975], Dove il Montericco [con acqueforti di Luciano Zambolin, Monselice 1977] Terra mia  [Monselice 1978], Terra d’Elicaone [Monselice 1980], Dove tanto vissi (Monselice 1982) Sogni d’infanzia [Monselice 1983], L’albero maestro. Poesie e prose, Introduzione di R. Valandro, Monselice 1994. 
 
Galletto P., La lepre di Vò Euganeo, Estratto da “Sette Provincie Venete”, 1-2 (1988). 
Gallo G., Il figlio sinistro di Dio, Abano Terme 1972, lavoro letterario dell’ex sindaco di Galzignano ambientato nei Colli Euganei. 
Gamberini A., Storie minime, “Padova e la sua provincia”, 22 (1976), n.s., n. 6, p. 3-6, breve racconto ambientato nei Colli. 
 
Del suo soggiorno al Rua, Concetto Marchesi ci lasciò una preziosa testimonianza (curiose le memorie sul vino di Rua e sul cibarsi di cipolle): 
Marchesi C., Il libro di Tersite, Palermo 1993 (in Di pensier in pensier, p. 96-100). Il testo per esteso, che comparve per la prima volta in “Pan” 3 (1935), p. 444-451, è riportato anche in: 
Tosatto C., Eremo di Monte Rua. Richiami di storia e di spirito, Padova 1980, p. 226-238, col titolo: Rua
 
Marzolo De Fabii L., Poesie, Introduzione di V. Errante, Roma 1934, dove sono molte le poesie ambientate nei Colli Euganei (PragliaRovolonIl Monte della Madonna): 
 
Di Luigi Monteleone un breve brano dove i Colli sono visti (come in Ruzante) come luogo ideale per i convegni amorosi. Il brano si trova in: 
Monteleone L., La Bestia controvento, Milano 1990 (I Narratori), p. 76
 
Un giovane scrittore padovano — Giulio Mozzi – ci ridà una visione nuova ma consueta dei Colli, quella ottenuta attraversandoli in bicicletta. Il brano: 
Mozzi G., Fuochi e Luna da Dillinger, racconto comparso ne “L’Unità “, 12 agosto 1996 e riportati in Di pensier in pensier…, p. 126-128. 
 
Gli Euganei non sfuggono ad Ugo Ojetti che ci propone un ricordo, un’istantanea del “paesaggio scarnito, e i due coni lisci di Monte Cero e di Monte Castello e, in mezzo, il campaniletto aguzzo di Calaone ritto come la lancia d’una sentinella dal fondo d’un fossato” [in Cose viste (1928), Firenze, 1951, vol. IIp 74]. 
 
Pezzato L., Epitaffio per una cava, in “Padova e il suo territorio”, 6  (1993), n. 33, p. 18-19, di taglio letterario. 
 
Scarna la prosa dedicata dal vicentino Piovene ai Colli Euganei: 
A differenza delle altre colline venete, che sono voluttuose, gli Euganei sono sacri, e chi vi entra in cerca di Arquà Petrarca ha l’impressione di essere in un labirinto.  Con le loro cime a cono, palesantí l’origine vulcanica, e che sembrano infatti piccoli vulcani spenti, si direbbero alti molto più che non siano in realtà, quando vi fumano le nebbie assomigliano a vulcani attivi.  Ma si aggiunge, e vi predomina, la dolcezza della regione” in: 
Piovene G., Viaggio in Italia, Milano, 1957, p. 35-36. 
 
Polato L., Il Duce a Este. Canto, Padova 1940.

Il ‘900 Rodella – Zanzotto

[Rodella S.], Leggende euganee, Padova 1959 (prima edizione del 1941). 
A mezzo tra ricostruzione storica e trasposizione letteraria ma dove prevale l’afflato poetico: 
Rodella S., Castelli euganei, S.l. 1964. 
 
Rota A., Racconti di Valnogaredo, Vicenza 1992. 
 
Paesaggi, persone e tradizioni (come il lunedì di Pasqua sul Monte Ortone per raccogliere le brècane), troviamo in alcuni passi di: 
Scabia G., Lorenzo e Cecilia, Torino 2000 e riportati in Di pensier in pensier…, p. 114-122. 
 
Scarrone F., Foglie al vento, Padova 1940. 
 
Più vicino a noi un passo di Domenico StarnoneIl braccio del Petrarca, tratto da 
Starnone D., Segni d’oro, Milano 1996 (Universale Economica Feltrinelli) e riportati in Di pensier in pensier…, p. 122-126, dove si rivisita in chiave ironica e disincantata la tradizione letteraria euganea. 
 
Timolini C., Canti Euganei in prosa e in versi, Milano 1955. 
Timolini C., Mattutino Euganeo, “Abano Terme”, 4 (1952), n. 7, n. n. 
 
Molteplici sono i brani dedicati da Diego Valeri ai Colli Euganei. Spesso assumono un taglio descrittivo ma sempre frammisto ad analogie e metafore per cui i Colli divengono “Alpi alla misura dei fanciulli “, o son visti come “area siepe dell’infinito ” (con evidente reminiscenza leopardiana). 
Valeri D., I Colli Euganei, Firenze [1932] (Visioni spirituali d’Italia). 
Valeri D., Fantasie veneziane, Milano 1934, brani sui Colli Euganei alle pagine 151-171. 
Valeri D., Ritorno agli Euganei, “Padova”, 6 (1932), n. 9, p. 7-16. 
Valeri D., Piccola Rapsodia Euganea, in “Notiziario dell’Azienda di Cura Abano Terme”, 3 (1951), n. 11, n. num. 
Valeri D., I Colli Euganei, in Invito al Veneto, Bologna, 1977p. 51.-61. 
Valeri D., Colli Euganei, in Città materna (Padova), Bologna 1977, p. 127-143. 
 
Viola A., Pietre Euganee. Storie di ieri, Noventa Padovana 1993. 
 
Molti sono i brani poetici dedicati ai Colli dal poeta Vittorio Zambon (1910-1974): 
Ronconi G., La poesia di Vittorio Zambon, “Padova e la sua provincia”, 22 (1976), n.s., n. 11, p. 24-29. 
Folena G., Una immagine di Vittorio Zambon, in Zambon V., Satire (1968-1974), Pres. Di G. Ronconi, Venezia 1981, p. 5-6. Nelle sue Satire si indigna per lo strazio delle pietre sui dolci colli del Petrarca, come altrove per la triste ecatombe degli uccelli o per la turpe lordura, i verminosi filamenti e gli scoli immondi che stanno deturpando il paesaggio. 
Recente una antologia di tutte le poesie di Vittorio Zambon, curata da Giorgio Ronconi,  
Zambon Vittorio, Tutte le poesie, a cura di G. Ronconi, Padova, La Garangola, 2005. Alcune sono dedicate ai Colli Euganei: “Verde Praglia” e “Colli Euganei con neve” tratte da “Paese a settembre” del 1957; “Canzone euganea” da “Forma dell’uomo” del 1965, “O Fonte Euganea” da “Satire (1968-1974)”, del 1981. 
 
Abbiamo poi un sonetto di Andrea Zanzotto “Notificazione di presenza nei Colli Euganei” in cui i Colli sono assunti quale immagini di composizione armonica di forze opposte come sono l’acqua e il fuoco, la natura e la cultura. I versi sono compresi in 
Zanzotto A., Poesie 1938-1972, Milano 1986. Altri brani in prosa sono riportati in Di pensier in pensier…, p. 112-114

Contributi recenti

Cibotto G. A., Bassa marea. Versi in lingua e in dialetto, Venezia, Marsilio, 2006 ( Gli specchi della memoria); alcuni versi della raccolta sono anche dedicati a località dei Colli: Marendole, p. 77, Arquà Petrarca, p. 78 e El segreto de Sant’Elena, p. 79. 
 
Scrittori monselicensi che sviluppano temi collegati alla città sono: 
Bernardini Paolo, Gli ozi di Federico. 1239: l’Imperatore Svevo a Padova e Monselice. Padova, Zielo Edizioni, 2004; 
Fabbian Giancarlo, Diario di due pellegrini a Santiago de Compostela. Leone e Giancarlo da Monselice.  
Dello stesso autore una modesta raccolta di poesie, prodotta in proprio dall’autore stesso, semplice come il desinare “genuino e sano”, ma molto utile per verificare dal vivo le immagini che i colli proiettano: 
Fabbian G., Rime sparse tra i colli Euganei, s.n.t. [2004]. 
 
Pietro Gattolin è nato ad Este nel 1924. Racconta da uomo semplice, di pochi studi, la sua infanzia ed i ricordi ambientati nella Bassa Padovana, con una prosa sconnessa e una grammatica incerta. Ma la sicura conoscenza del dialetto materno, la memoria vivida sui  fatti della prima infanzia e dell’adolescenza, fanno del suo lavoro una interessante testimonianza che spazia dall’esposizione precisa della viticoltura artigianale (In caneva, p. 13-14; I vigneti so i nostri Coli, p. 29-30; Tempo de vendema, p. 49-50), alle storie di paese, descrivendo luoghi ed eventi (I marcà de Este, p. 17-18; I nostri monti, p. 21-23; La fiera dei Santi a Moseexe, p. 43-44; El Vesco a Calaon, p. 111; La sagra al Tresto, p. 115-116) soffermandosi sulla descrizione, con relativa terminologia specifica, di tante specie botaniche, pere, uve, fichi (La stajion de i peri, p. 27-28; I fighi, p. 51-52): 
Gattolin P., I porteghi dea Bassa ai nostri tempi, Premessa di M. Cortelazzo, Casalserugo (PD) 2004 (segnalato da Franco Sandon). 
 
Padoan Tecchio M., Noaltri de la Bassa. Realtà e Ricordi. Poesie e vernacolo vecio, del basso padoan (da Este in zò), Este (PD), Grafica Atestina, 2002. Nell’ottica del recupero in chiave europea delle culture e tradizioni locali, le composizioni (tradotte in italiano e inglese) si propongono di presentare le tradizioni e la realtà del territorio. Un glossario dei termini meno conosciuti completa l’opera. 
 
Ambientato nel Catajo è un romanzo di Roberto Grossi, artista e scrittore che racconta le vicende di una antica e nobile famiglia padovana, con qualche escursione nel folklore locale: 
Grossi R.,  La Gabrina, Este Grafica Atestina 2000. 
 
Guidotti G., Ezzelino il Tiranno, Padova, Cleup, 2005, un romanzo storico che si appassiona alla figura del primo signore italiano capace di un lungo dominio (1234-1259) restituendoci anche una minuta descrizione degli ambienti domestici e sociali dell’epoca (segnalato da Franco Sandon).  
 
Vergani O., Visioni d’altri tempi. Gli articoli su Padova, Abano Terme e Arquà Petrarca dal 1931 al 1957, a cura di F. Benucci, Padova La Garangola 2004, una piccola antologia di scritti del giornalista e scrittore Orio Vergani, appassionato cantore del territorio padovano. Spiccano in questa breve raccolta un brano tratto dal Diario, Misure del tempo, a cura di N. Naldini, Milano Baldini & Castaldi 2003, p. 46 e, inoltre, Salvare il silenzio di Arquà senza renderla inospitale, (dal “Corriere della Sera” del 25 agosto 1954), p. 47-51; e Alla Cav. Maria presso Messer Petrarca. La custode della casa del poeta ad Arquà è riuscita a mandare a memoria tutto quanto il “Canzoniere”, (“Corriere d’Informazione” 21-22 agosto 1957), p. 52-55; da ultimo alcune pagine dedicate a Ballotta (“Rivista Euganea” feb.-mar. 1960) p. 61-63. 
 
Una modesta raccolta di poesie, prodotta in proprio dall’autore stesso, semplice come il desinare “genuino e sano”, ma molto utile per verificare dal vivo le immagini che i colli proiettano: 
Fabbian G., Rime sparse tra i colli Euganei, s.n.t. [2004]. 
 
Figlio e nipote di barcàri Luciano Rosada (nato nel 1933) è un poeta che ha fatto solo la quinta elementare ma che è riuscito ad esprimere con immediatezza, da poeta naif, le esperienze e i ricordi della sua vita di operaio metalmeccanico.  Il suo primo libro di poesie uscì nel 1967 nella collana “La Lucciola”; segue: 
Rosada L., Fra ‘e do rive, Abano Terme, “Il Gerione” 1972 
Rosada L., De passo col tempo, introduzione di R. Valandro, Battaglia Terme 1979.  
Da segnalare il brano dedicato a “Bataja”  (1979, p. 28) e “I barcari de bataja” (p. 73). 
“Vita amara” (1979, p. 46) 
Me rendo / sempre pì conto che / la vita xe / come ‘na comessa de radicio: / bè-o, bon / par carità, no digo de nò, / rosso o verde ch’el sia, / ma co l’ànema amara. 
Soto la priára” che tratta della morte di uno scarpellino, investito dalla caduta di un masso e il cui angelo custode si era distratto e per il gran caldo era andato in osteria a bere un giosso (p. 56-57, 1979) 
Zòghi: Desso: / on spigolo de luna / no dise pì gnente, / do féte de poenta zala , / on sardé-òn / negà so l’ojo, / ‘na garàfa de marsemìn / e la corona… / Questo ghe vò-e par consolare / sta età qua, / sì cari amissi / dileti de l’ànema ! / I nostri bojori s’à consumà / cofà la céra so i altari. (1979, p. 61) 
Fame (p. 85) racconta di un sogno: si trova con amici nel pascolo dei Paradiso dove pascolano belle grasse agnelli e pecore: … desso Signore, no vardarme malamente / se sémo qua sentà / torno on fogo / ca magnemo agneo rosto… / Varda Signore, ne manca quatro foje de radicio / e on fiasco de vin. 
Dopo la morte nel 2003, gli amici hanno provveduto all’edizione degli inediti: 
Rosada L., El sfrato. Poesie inedite, a cura di M. Burattin, con un saggio di R. Valandro, Comune di Battaglia Terme 2005, (Suggestioni, 1). Anche in questa raccolta molteplici le immagini tratte da ricordi collegati all’alimentazione: 
… Vòja de’ndare a barbone / co canevère e bissi / in Pontata del massèo … (Voje vece); … Sora la grela del fogolaro / quatro fete de poenta / co na crosta crocante, / e, so’e bronze, / na técia che sfrìtega … (“Che fadigada). 
 
Una trasposizione letteraria di alcune leggende locali come il corpus relativo a Pietro d’Abano, Beatrice d’Este e il tiranno Ezzelino sono raccolte in: 
Sarrubbi S. — Krumbeck L., I Racconti di Antenore. Viaggio nella storia e nelle leggende dei Colli Euganei e di altri Paesi, Padova, Associazione Kalamo, 2006. 
 
Autore di prosa, poesia e teatro, l’ultimo libro di Giovanni Soranzo (1995-2006) raccoglie 12 racconti incentrati su Monselice , il Castello e la Rocca, con presentazione di Riccardo Ghidotti e illustrazioni di Silvio Travaglia e Antonio Soranzo: 
Soranzo G., Racconti monselicensi, a cura di R. Ghidotti, Padova, Libreria Ed. Diego Valeri, 2005 (Collana di storia e tradizioni). 
 
Un brano del prof. Leone Traverso, breve ma ricco di accensioni poetiche: 
Traverso L.,  Visita ad Arquà, in Salmaso A., Conselve. Storia e antologia, Conselve, Libreria Di Cultura, 1976, p. 194-195, tratto da “Studi Urbinati”, 45 (1971), n. 1-2, [segnalazione avuta da Paolo Maggiolo]. 
Nello stesso volume altri due brani hanno per argomento l’ambiente collinare: 
Gaudenzio Luigi, Il Cataio, p. 192-193 (tratto da “Abano nella storia”, 1962) 
Pozzer Aldo, La striga de Faedo, p. 195-197 (tratto da “La Specola”, 1 (1970), n. 4, aprile.
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