In che senso storia del clima? Approccio scientifico o storia delle percezioni del clima dalla parte del soggetto che subisce i fenomeni?
Si può parlare di storia del clima in due sensi. Da un lato abbiamo l’approccio perorato dallo storico francese Le Roy Ladurie che parla di una storia del clima in sè e per sè, finalmente libera da un esagerato antropocentrismo che colleghi la storia umana alle sue fluttuazioni e che utilizzi strumenti scientifici come la fenologia – cioè lo studio delle date in cui si sono verificati fenomeni nelle piante di cui si possiede una documentazione: ad esempio, la fioritura dei ciliegi o la maturazione delle viti – e metodi biologici come la dendroclimatologia che si basa sull’esame della sezione trasversale dei tronchi degli alberi e dei suoi anelli.
Ma esiste anche una percezione del clima – dal versante del soggetto che la subisce – che talvolta tracima nei documenti più disparati, e che fa riferimento ad una rete di valori, di timori ed esperienze. Ed è a questo tipo di atteggiamento che indaga una storia che voglia far emergere queste archeologie della percezione – insieme visiva ed etica, per così dire – che collocano gli eventi in un quadro di riferimento, certo di tipo assolutamente soggettivo e qualitativo.
cfr. E. Le Roy Ladurie, Tempo di festa, tempo di carestia. Storia del clima dall’anno mille, Torino 1982, p. 9-10.
Esposti al tempo nel “pensiero selvaggio”
Ma c’è un tempo, invece, che incombe. Specie per chi non conosce nel proprio orizzonte un campo logico in cui i fenomeni vengono collocati in una catena causale, o inquadrati in una griglia statistica, o assorbiti in una rete di previdenze. Per questi uomini esposti agli eventi atmosferici, offerti ad essi come il prigioniero al proprio carnefice, scrutare il cielo significa cercare una ragione per sperare o per disperare. Perchè è lì, all’orizzonte, che si gioca la vita e lì si accumula la preoccupazione per il presentarsi di un segno che indichi l’arrivo della bissabora o del ton o di una brentana. L’uomo dei Monti Euganei – ma è un dato generale per le società tradizionali che partecipano ad una sorta di “pensiero selvaggio” – vive in un universo magico in cui tutto si tiene e dove tutti gli elementi sono collegati.
esposti: sull’argomento cfr. Giorato Sergio, A fulgure et tempestate. Aspetti di vita e mentalità di un villaggio euganeo. Monterosso tra ‘700 e ‘900, Abano Terme 1999, capitolo: Esposti al cielo, pp. 307-313
Le regole della sapienza popolare
Se pur anche oggi il mondo non è risparmiato dalle catastrofi, sismi terribili e maremoti, cicloni e calure insopportabili, sembrano questi eventi assolutamente diversi da quelli di un passato anche recente. Quel che li differenzia innanzitutto è il campo logico della comprensione in cui vengono collocati. Oggi, cioè, pur terribili, essi rientrano in una consequenzialità di fenomeni che la scienza crede di poter collegare in una catena causale o in una eventualità statistica. Oltre a ciò, la tecnologia è in grado di produrre tutta una serie di previsioni e di protezioni che possono alleviare e contenere i danni possibili. Ma così non era per il passato in cui ogni giorno il contadino alzava gli occhi al cielo. E scrutava e indagava l’orizzonte alla ricerca di un segno favorevole. La sapienza popolare aveva tramandato tutta una serie di “regole” per interpretare il tempo e consigliare il comportamento corretto. Così a genaro e febraro metete el tabaro; de marzo ogni mato va descalzo; de aprile no te scoprire; de magio va adagio; de giugno cavete el codegugno, ma se no te par, tornelo a impinar; de luio despojete nudo; de agosto se rinfresca el bosco.
Così ogni evento, ogni elemento della vita umana e del cosmo naturale, grande o insignificante che sia, fa parte di un ciclo per cui, come il fumo segnala in fuoco, ogni cosa ne annuncia un’altra. Ed è appunto in questo contesto che la sapienzialità popolare elabora gli strumenti e detta le regole per orientarsi in un universo di segni e perciò co’l monte Venda fa pan – cioè quando è coperto da un anello di vapore come fa un forno dove si prepara il pane – se no piove ancò, piove doman, mentre, al contrario, nuvolo de montagna, no bagna la campagna. Più drammatica si fa la situazione per via di nuvole verdoline e negrete che fa vegner tempesta e saetei e così pure l’esperienza visiva delle sfumature dei colori viene anch’essa coinvolta in questo annusare il mondo alla ricerca dei segni.
a genaro: i proverbi sui fenomeni metereologici sono riportati in: Coltro Dino, Santi e contadini. Lunario della tradizione orale veneta, Verona 19982 , p. 45.
saete: i Il proverbio è riportato in “Il Raccoglitore. Pubblicazione annuale dela Società d’Incoraggiamento di Padova”, V (1856), p. 102.
Il dramma della grandine in una poesia di Giulio Alessi
Che cosa significhi il dramma della grandine nelle società tradizionali è ancora vivo in quel gesto di disperazione che coglie il poeta Giulio Alessi nella sua Grandine a Castelnuovo:
… ecco la grandine avanza di lontano / e spoglia in breve le viti, martella / i frutteti. Quando il sole riappare / calpesti chicchi, foglie, frutta su cui / corre sconvolto, le mani alle tempie, /un contadino ed esprime nel gesto / il lacerio del cuore.
Alessi Giulio, Le Poesie, A cura di I. De Luca e V. Zaccaria, Milano 1986, p. 287