Alcune note di Adolfo Callegari, 1941
La «ciara stela» e i «bugei»
Dopo Natale e fino all’Epifania da per tutto i giovani vanno di notte a cantare la «ciara stela», nenia carezzevole e melanconica, suggestiva a sentire nel profondo silenzio invernale. Il primo verso di ogni strofa è intonato a voce molto alta da un solo, poi gli altri versi si cantano in coro. Si canta, ma in chiesa, la Pastorella, il Sabato Santo e la domenica e il lunedì successivi. La origine dei due Natali è però cittadina. A canto finito le porte si aprono e i cantori vengono regalati di vino o di qualche moneta. Se non si apre perché l’ora è troppo avanzata, si va a chiedere la mancia la mattina. Nè a Natale nè a Capodanno nè a Pasqua» le donne vanno a far visite; non sarebbero gradite; «porterebbero via la fortuna». Vanno invece il giorno dell’Epifania. Per l’Epifania si bruciano i «bugei», mucchi di fascine, a sera tardi. Quei fuochi simboleggiano la luce che indicò la strada ai Magi. Raramente la striga è bruciata sotto la forma di un fantoccio.
Adolfo Callegari, Usi e costumi degli Euganei, Estratto dagli Atti del IV Congresso Nazionale di Arti e Tradizioni Popolari, Venezia settembre 1940, Udine 1941, pp. 6-7
Giacchino Bragato, Albero di Natale
Cante euganee raccolte da Carlo Timolini, 1955
La terra Euganea è una terra di leggende, è una fantasiosa terra che più di ogni altra del padovano si mantiene tenace nel conservare le remote tradizioni degli avi. In certe ricorrenze, come le festività Natalizia e dell’Epifania, la sua gente manifesta la fede religiosa che l’anima con una caratteristica usanza, in sostituzione dei tradizionali «zampognari » che percorrono le vie cittadine, suonando nenie malinconiche, per annunciare al popolo la prossima nascita di Gesù. Difficilmente in questi paesetti sperduti tra il cielo e la terra di questi colli, si sentono tali suoni ma in compenso ogni anno in quest’epoca, a sera inoltrata e confusi nella densa nebbia decembrina, si trovano lungo le strade, fra i viottoli scoscesi dei monti, tra le vie strette e tortuose dei paesi, schiere di ragazzi, e adulti che si soffermano ad ogni casa per annunciare la festività con le tradizionali «Cante» e continuano nella nenia fino a che non hanno ottenuto un compenso dagli ascoltatori. Nel passato: erano gruppi di più persone che si fermavano di porta in porta : chi portava una grande stella girevole e colorata, illuminata con candeline, chi aveva strumenti musicali per accompagnare i cantori. Di questa usanza che rivestiva un carattere ben più poetico dell’attuale, poco rimane: essa non ha resistito nel tempo.
La «Pastorela» che si fa sentire dalla sera di Santo Stefano alla fine dell’anno, e la «Felice Notte» che si prolunga fino al giorno dell’Epifania, si fondono in quest’ultimo giorni con la gentile costumanza della «Strigheta», che è uno scambio tra conoscenti di piccoli regali di frutta. «Pastorela» e «Notte Felice» sono due cantilene semi dialettali, senza metrica e rima (di autore ignoto) che, però, hanno il pregio di esprimere l’anima semplice del popolo che vive in questi monti, hanno il pregio delle ingenuità e della semplicità. Esse si ripetono ad ogni Natale e ad ogni Epifania, ed io le trascrivo così come sono nate, armoniose o no, tali e quali le ho udite cantare da questi ragazzi.
Carlo Timolini, Canti euganei in prosa e in versi, disegni in penna di Alessandro Rota, Milano 1955, pp. 82-85.
La «Pastorela»
«Felice notte»
O pastori e pastorelle
che adorate Maria e Gesù
vi poriamo la novella
che xe nato el Redentor.
E lè nato a Betlemme
in una stala in mezo al fen
e lè nato Re a Betlemme
con Maria e Giuseppe insiem.
Caminando giorno e note
in così fresca stagion
per i boschi e per le grote
senza avere provigion
Santa Maria gavea paura
de’ assassini e traditor,
San Giuseppe non avea paura
ma temeva i traditor.
Ela ghe dise: «Amato sposo
mi son stufa da caminar
là si vede una capanna
andemo drento a riposar».
Co’ le giunta la mezanote
la Madonna se risvegliò,
la se vede in gran splendor,
ghe xe nato el Salvator.
La lo guarda, la lo mira,
nudo e nado in mezo al fen,
poverino, la sua mamma
non sapea che far in ben.
Quella note vi è poi gran gelo
si prevedon dei gran dolor
la si leva di testa il velo
per coprire il Redentor.
Poi col fiato dell’asinel
riscaldava il suo Bambinel.
I pastori facevan legria
che xe nato il Re del ciel;
i cantava la «Pastorella »
i la cantava di alegro cor.
O dolce felice notte
più chiara che nel giorno
spande grande luce attorno
la chiara stella.
O Vergine Madre bella
che tutto il mondo reggi
il Pastor del Divin gregge,
il Figlio Santo.
Vedo ‘parir dal cielo
‘na stela lucente
e insieme dall’Oriente
i tre Re Madi…
Siamo qua col nostro agnel
tre Re Magi dall’Oriente
siamo qua con Dio presente
siam giunti alfine,
E andremo su quell’orlo
e pianteremo un bel fiore
che ghe piaserà al Signore
or buona notte.
Ascoltè, ascoltè il mio canto,
ascoltè le mie parole,
se la luna sembra sole
la terra splende.
Due angeli che i scende
i va sopra una capanna
noi cantiamo tutti osanne
e gloria al cielo.
Vi ringraziano tanto
della grazie e del favore,
siamo insieme col Signore,
or buiona notte.
Presto è giorno e buona notte
arrivederci a un altro ann
per la Santa Epifania
buona notte e vado via.
Dall’Avvento all’Epifania: le festività natalizie nei Colli Euganei
di Alberto Espen
Alberto Espen, Dall’Avvemto all’Epifania: le festività natalizie nei Colli Euganei, in Paese che vai Natale che trovi: Le tradizioni natalizie in Italia, presentate e raccolte da Giacomo Luzzagni, Montemerlo 2002, pp. 43-39