8 ottobre 1890, mercordì. Un gruppo con alcuni dei migliori nomi della borghesia e aristocrazia locale (Arrigoni degli Oddi, Buzzaccani, Miari, Morpurgo, Pietrogrande, per dirne alcuni) si ritrova all’osteria di Valle per poi salire al monastero del Gemola.
Due notazioni di clima e costume. Nella nota della spesa (che propone la classica combinazione dell’escursione sui Colli: pane, salame, vino bianco dolce) si evidenzia la distinzione tra pane padronale e pane cocchierico e bovajco. Un chiaro indice di come anche l’alimentazione segni la distinzione sociale e, come al tempo del Savonarola, l’appartenenza sociale passa attraverso la linea di demarcazione tra pasto da villano e pasto da signore. E che dire dei francesismi del menù: corbeil de porc assortis … fromage à grater – indice di una cultura gastronomica ancora fortemente di dipendenza d’oltralpe.
A Zemola, un ponaro de muneghe
Seconda notazione. Nell’invito, esposto con formula poetica, si propone: andemo insiele a Zemola le viste a contemplar ! Collegando dunque l’escursione alla piacevolezza del vedere – un classico nell’escursionismo del secolo a venire, il Novecento. E aggiunge: Sta Zemola un ponaro / de muneghe xè stà / Che vegetava vergini / dal mondo ritirà. Emerge in questo frammento quella cultura anticlericale, latente e diffusa specie nelle alte sfere sociali, che appartiene al clima di conflitto radicale tra cattolici e liberali alla vigilia della Rerun Novarum.